Ricorso Patteggiamento: la Cassazione Fissa i Paletti
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione dei procedimenti penali. Tuttavia, la possibilità di contestare la sentenza che ne deriva è estremamente limitata. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce con forza i confini invalicabili del ricorso patteggiamento, chiarendo quali motivi possono essere sollevati e quali no, con conseguenze importanti per chi tenta di forzare la mano.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da una sentenza del Tribunale di Roma, che aveva applicato a due imputati la pena concordata di cinque mesi e dieci giorni di reclusione e 200,00 euro di multa per il reato di tentato furto aggravato in concorso. Gli imputati, non soddisfatti dell’esito, decidevano di presentare ricorso per Cassazione.
I Motivi del Ricorso e le Lamentele degli Imputati
Gli imputati hanno fondato il loro ricorso su un unico motivo: un presunto vizio di motivazione riguardo all’entità della pena inflitta. Nello specifico, lamentavano il mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche. A sostegno della loro tesi, adducevano il carattere episodico del fatto, dettato da una carenza di mezzi di sussistenza, il buon comportamento processuale tenuto e la resipiscenza manifestata.
La Disciplina del Ricorso Patteggiamento
La Corte di Cassazione, nell’analizzare il caso, ha immediatamente dichiarato il ricorso inammissibile de plano, ovvero senza neppure la necessità di una discussione in udienza. La decisione si fonda su una regola procedurale chiara e restrittiva, contenuta nell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che il ricorso patteggiamento è proponibile solo per un elenco tassativo di motivi, tra cui:
1. Problemi relativi all’espressione della volontà dell’imputato.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. Errata qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Come evidente, le lamentele degli imputati, incentrate sulla congruità della pena e sul bilanciamento delle circostanze, non rientrano in nessuna di queste categorie.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha quindi applicato la legge alla lettera. Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché proposto per motivi non consentiti. L’inammissibilità ha comportato due conseguenze negative per i ricorrenti: la condanna al pagamento delle spese processuali e, in aggiunta, il versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione aggiuntiva deriva dal principio, stabilito dalla Corte Costituzionale, secondo cui chi propone un ricorso senza colpa nella determinazione della causa di inammissibilità non dovrebbe essere sanzionato, ma in questo caso la Corte ha ritenuto che non vi fossero elementi per escludere la colpa.
le motivazioni
Le motivazioni della Corte sono puramente giuridiche e si basano su un’interpretazione letterale delle norme procedurali. Il legislatore ha voluto limitare drasticamente le possibilità di impugnazione delle sentenze di patteggiamento per garantire la stabilità e la rapidità di questo rito alternativo. L’accordo tra accusa e difesa sulla pena cristallizza il trattamento sanzionatorio, che non può essere rimesso in discussione in sede di legittimità sulla base di valutazioni discrezionali, come quelle relative alla prevalenza delle attenuanti. Il controllo della Cassazione è limitato a vizi macroscopici e predeterminati, che intaccano la legalità dell’accordo o la volontà delle parti, non l’opportunità della pena concordata.
le conclusioni
Questa ordinanza serve da monito: il ricorso patteggiamento non è uno strumento per rinegoziare la pena. La scelta di accedere a questo rito comporta una sostanziale rinuncia a contestare nel merito la decisione sulla sanzione. Chi intende impugnare una sentenza di patteggiamento deve attentamente verificare che i propri motivi rientrino nell’elenco tassativo previsto dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., per non incorrere in una declaratoria di inammissibilità e nelle conseguenti sanzioni economiche.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per motivi legati all’entità della pena?
No, la sentenza chiarisce che le contestazioni sull’entità della pena o sul mancato riconoscimento delle attenuanti generiche non rientrano tra i motivi ammessi per il ricorso avverso una sentenza di patteggiamento.
Quali sono i motivi per cui si può fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
Il ricorso è consentito solo per motivi specifici previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., ovvero: vizi nella formazione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto e illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Cosa succede se un ricorso contro un patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 6567 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 5 Num. 6567 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:«
NOMECOGNOME nato in Romania in data 11/02/1997 NOME nata in Romania in data 03/09/1998 avverso la sentenza del 25/10/2024 del Tribunale di Roma; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza in data 25/10/2024, pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., il Tribunale di Roma ha applicato a NOME NOME COGNOME e NOME la pena di cinque mesi e dieci giorni di reclusione e 200,00 euro di multa in relazione al delitto previsto dagli artt. 110, 56, 624, 625, n. 4 e n. 8-bis, cod. pen.
Gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione avverso il predetto provvedimento con un unico motivo di impugnazione, lamentando vizi di motivazione in ordine all’entità della pena inflitta e al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, in ragione del carattere episodico del fatto (dovuto alla carenza di mezzi di sussistenza), del buon comportamento processuale e della resipiscenza manifestata.
Il ricorso va dichiarato inammissibile de plano, a norma dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
Lo stesso, invero, ha ad oggetto una sentenza di applicazione della pena a norma dell’art. 444 cod. proc. pen. e risulta proposto al di fuori dei casi previsti dall’articolo 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., secondo cui il ricorso avverso la sentenza di patteggiamento è proponibile per soli motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misur di sicurezza.
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza n. 186/2000, della Corte costituzionale, non sussistendo elementi per ritenere che gli stessi abbiano «proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», anche al versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così è deciso, 14/01/2025