Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8004 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Data Udienza: 31/01/2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8004 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
NOME COGNOME
ORDINANZA
Sul ricorso proposto da NOME NOMECOGNOME nato a Lutwsburg (Germania) il 01/01/1972, avverso la sentenza del GUP del Tribunale di Pescara in data 12/09/2024 visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminati i motivi del ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con sentenza del 12/09/2024 il Tribunale di Pescara, sull’accordo delle parti applicava a NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 73 d.P.R. 309/1990, 81 c.p., la pena di anni 7 di reclusione e 28.000 euro di multa, disponendo altresì la confisca del denaro in sequestro ex art. 240bis cod. pen..
Avverso tale sentenza l’imputato propone ricorso per cassazione, in cui si lamenta violazione di legge con riguardo alla qualificazione giuridica del fatto e alla disposta confisca, che non faceva parte dell’accordo.
Il ricorso (da trattarsi ai sensi dell’art. 610, comma 5bis cod. proc. pen.) Ł inammissibile. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (a partire da Sez. U. n. 5 del 19/01/2000, Rv 215825), in tema di patteggiamento, l’erronea qualificazione giuridica del fatto, così come prospettata nell’accordo delle parti recepito dal giudice, può essere denunciata in sede di legittimità in quanto la qualificazione giuridica del fatto Ł materia sottratta alla disponibilità delle parti e l’errore su di essa costituisce errore di diritto rilevante ai sensi dell’art. 606, lett. b) cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 14314 del 29/01/2010, COGNOME, Rv. 246709; Sez. 4, n. 39526 del 17/10/2006, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 235389).
La possibilità di ricorrere per cassazione avverso la sentenza, emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., per errata qualificazione giuridica del fatto, deve ritenersi limitata alle ipotesi in cui si tratti di un errore manifesto e tale, quindi, da far ritenere che vi sia stato un indebito accordo non sulla pena ma sul reato, dovendosi, per converso, escludere detta possibilità, anche sotto il profilo del difetto di motivazione, tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità (v.,
R.G.N. 34824/2024
ex multis , Sez. 3, n. 34902 del 24/06/2015, COGNOME, Rv. 264153; Sez. 6, n. 15009 del 27.11.2012, Bisignani, Rv. 254865; Sez. 4, n. 10692 dell’11/03/2010, COGNOME, Rv. 246394; Sez. 6, n. 45688 del 20/11/2008, COGNOME, Rv. 241666).
Dunque, l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza Ł limitata ai casi in cui tale qualificazione risulti palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione.
Si deve, per conseguenza, escludere l’ammissibilità dell’impugnazione che richiami, quale necessario passaggio logico del motivo di ricorso, aspetti in fatto e probatori che non risultino con immediatezza dalla contestazione (Sez. 3, n. 28747 del 19/04/2016, Cenicola, n.m.).
Tale Ł, appunto, il caso che oggi occupa il Collegio, essendo del tutto evidente la piena conformità della contestazione formulata all’imputato rispetto alla qualificazione giuridica cristallizzata nell’accordo sulla pena.
Quanto alla confisca, disposta ex art. 240bis cod. pen., va rammentato che, secondo l’orientamento di questa Corte, essa può essere disposta anche fuori dall’accordo se non viene fornita giustificazione della provenienza del denaro e se risulti una sproporzione tra il denaro oggetto della confisca ed il reddito percepito dall’imputato (v., ex multis , Sez. 1, n. 17092 del 02/03/2021, Syziu, Rv. 281358-01; Sez. 4, n. 19378 del 07/05/2024, COGNOME, n.m.).
Nel caso di specie, la sentenza, sia pur sinteticamente, dà atto della «inconferenza» della somma confiscata rispetto alla situazione economica del ricorrente, che, del resto, nulla deduce in ordine alla legittimità della provenienza del danaro.
Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonchØ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 31/01/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME