Ricorso Patteggiamento: La Cassazione Fissa i Paletti sull’Inammissibilità
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione dei procedimenti penali. Tuttavia, la scelta di questo rito alternativo comporta significative limitazioni al diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza i confini entro cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento, chiarendo perché doglianze generiche sulla congruità della pena o sulla mancata assoluzione siano destinate a essere dichiarate inammissibili.
I Fatti del Caso: Droga e Accordo sulla Pena
Il caso trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal GIP del Tribunale di Modena. Un individuo era stato trovato in possesso di un notevole quantitativo di sostanze stupefacenti: oltre 127 grammi di hashish e quasi 70 grammi di cocaina, dai quali si sarebbero potute ricavare migliaia di dosi. L’imputato, che aveva ammesso gli addebiti, aveva concordato con la pubblica accusa una pena di due anni e dieci mesi di reclusione e 12.300 euro di multa. Nonostante l’accordo, la difesa decideva di presentare ricorso per Cassazione.
I Motivi del Ricorso Patteggiamento in Cassazione
Il ricorso si fondava su due motivi principali:
1. Violazione di legge: Si contestava al giudice di merito di non aver adeguatamente motivato le ragioni per cui aveva escluso la possibilità di una sentenza di proscioglimento immediato, come previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale.
2. Vizio di motivazione: Si lamentava una motivazione carente in merito alla congruità della pena concordata tra le parti e applicata dal giudice.
In sostanza, la difesa tentava di rimettere in discussione, davanti alla Suprema Corte, elementi che sono al cuore stesso dell’accordo di patteggiamento.
La Decisione della Corte: l’Appello è Inammissibile
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. Gli Ermellini hanno sottolineato che le censure proposte erano prive di specificità e, soprattutto, non rientravano nel novero dei motivi per i quali la legge consente di impugnare una sentenza di patteggiamento. La normativa di riferimento, l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, elenca infatti in modo tassativo le ragioni per cui è ammesso il ricorso patteggiamento, escludendo un sindacato generale sulla congruità della pena o una rivalutazione dei fatti finalizzata a un proscioglimento non emerso in precedenza.
Le Motivazioni della Cassazione
Nel motivare la propria decisione, la Suprema Corte ha chiarito diversi punti fondamentali. In primo luogo, il ricorso è stato giudicato generico perché non indicava alcun elemento fattuale concreto che avrebbe dovuto imporre al giudice una verifica diversa o più approfondita sulla possibile esistenza di cause di non punibilità. L’imputato si era limitato a una doglianza astratta, senza fornire argomenti specifici. In secondo luogo, e in modo dirimente, i motivi addotti – sia quello sulla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p. sia quello sulla congruità della pena – sono estranei al catalogo di censure ammissibili contro una sentenza di patteggiamento. La legge limita l’impugnazione a questioni come l’errata qualificazione giuridica del fatto, l’illegalità della pena o l’omessa applicazione di una misura di sicurezza. Infine, la Corte ha ravvisato una colpa del ricorrente nella proposizione di un’impugnazione palesemente infondata, giustificando così la condanna non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.
Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche della Decisione
Questa ordinanza conferma un principio consolidato: la scelta del patteggiamento è una decisione strategica che implica una rinuncia a far valere determinate contestazioni nelle fasi successive. Chi accede a questo rito non può, in un secondo momento, dolersi della congruità della pena che ha contribuito a negoziare, se non nei ristretti limiti di una pena ‘illegale’ (cioè non prevista dall’ordinamento per quel reato). Il ricorso in Cassazione non può diventare uno strumento per rimettere in discussione l’accordo raggiunto. La decisione serve da monito: un’impugnazione avventata, basata su motivi non consentiti dalla legge, non solo è destinata al fallimento ma comporta anche significative conseguenze economiche per il ricorrente.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’impugnazione di una sentenza emessa a seguito di patteggiamento è consentita solo per i motivi tassativamente elencati dalla legge all’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, che non includono una generica contestazione sulla congruità della pena concordata.
Perché il ricorso in questo specifico caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi sollevati (omessa motivazione sull’esclusione del proscioglimento e vizio di motivazione sulla congruità della pena) erano generici, non supportati da elementi fattuali specifici e, soprattutto, estranei al catalogo dei motivi consentiti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente, come in questo caso, quest’ultimo viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8978 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8978 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 04/09/1991
avverso la sentenza del 25/09/2024 del GIP TRIBUNALE di MODENA
dato avvi o alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;/.24
Rilevato che NOMECOGNOME al quale è stata applicata la pena concordata ex art. 444 e ss. cod. proc. pen. di due anni e dieci mesi di reclusione e di 12.300,00 euro di multa, per i re cui all’art. 73, comma 1 e 4, d.P.R. n. 309 del 1990, articolando due motivi, deduce violazi di legge in relazione all’omessa indicazione delle ragioni per le quali è stata esclusa la sussis delle condizioni per l’emissione di sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129 cod. pr pen. (primo motivo) e vizio di motivazione con riguardo alla congruità della pena (second motivo);
Considerato che entrambi i motivi espongono doglianze prive di specificità e comunque non consentite, perché le censure proposte non contengono alcuna indicazione degli elementi fattual che avrebbero dovuto imporre una verifica in ordine alla eventuale sussistenza di cause di no punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen., o una diversa qualificazione del fatto o una mite (la sentenza impugnata, peraltro, rappresenta che l’imputato è stato colto in possesso 127,36 grammi di hashish, da cui erano ricavabili 5.095,2 dosi medie singole, e 69,485 grammi di cocaina, da cui erano ricavabili 463,2 dosi medie singole, ed ha ammesso l’addebito), e, ogni caso, sono estranee al catalogo di quelle previste dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna de ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, sussistendo profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilit
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2025.