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Ricorso Patteggiamento: quando è inammissibile?

Un soggetto, condannato con patteggiamento per detenzione di un ingente quantitativo di stupefacenti, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando l’incongruità della pena e la mancata valutazione di un’eventuale assoluzione. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso patteggiamento inammissibile, ribadendo che l’impugnazione di una sentenza concordata è possibile solo per motivi specifici e tassativamente previsti dalla legge, non per generiche doglianze. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese e di un’ammenda.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: La Cassazione Fissa i Paletti sull’Inammissibilità

L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione dei procedimenti penali. Tuttavia, la scelta di questo rito alternativo comporta significative limitazioni al diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza i confini entro cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento, chiarendo perché doglianze generiche sulla congruità della pena o sulla mancata assoluzione siano destinate a essere dichiarate inammissibili.

I Fatti del Caso: Droga e Accordo sulla Pena

Il caso trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal GIP del Tribunale di Modena. Un individuo era stato trovato in possesso di un notevole quantitativo di sostanze stupefacenti: oltre 127 grammi di hashish e quasi 70 grammi di cocaina, dai quali si sarebbero potute ricavare migliaia di dosi. L’imputato, che aveva ammesso gli addebiti, aveva concordato con la pubblica accusa una pena di due anni e dieci mesi di reclusione e 12.300 euro di multa. Nonostante l’accordo, la difesa decideva di presentare ricorso per Cassazione.

I Motivi del Ricorso Patteggiamento in Cassazione

Il ricorso si fondava su due motivi principali:
1. Violazione di legge: Si contestava al giudice di merito di non aver adeguatamente motivato le ragioni per cui aveva escluso la possibilità di una sentenza di proscioglimento immediato, come previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale.
2. Vizio di motivazione: Si lamentava una motivazione carente in merito alla congruità della pena concordata tra le parti e applicata dal giudice.

In sostanza, la difesa tentava di rimettere in discussione, davanti alla Suprema Corte, elementi che sono al cuore stesso dell’accordo di patteggiamento.

La Decisione della Corte: l’Appello è Inammissibile

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. Gli Ermellini hanno sottolineato che le censure proposte erano prive di specificità e, soprattutto, non rientravano nel novero dei motivi per i quali la legge consente di impugnare una sentenza di patteggiamento. La normativa di riferimento, l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, elenca infatti in modo tassativo le ragioni per cui è ammesso il ricorso patteggiamento, escludendo un sindacato generale sulla congruità della pena o una rivalutazione dei fatti finalizzata a un proscioglimento non emerso in precedenza.

Le Motivazioni della Cassazione

Nel motivare la propria decisione, la Suprema Corte ha chiarito diversi punti fondamentali. In primo luogo, il ricorso è stato giudicato generico perché non indicava alcun elemento fattuale concreto che avrebbe dovuto imporre al giudice una verifica diversa o più approfondita sulla possibile esistenza di cause di non punibilità. L’imputato si era limitato a una doglianza astratta, senza fornire argomenti specifici. In secondo luogo, e in modo dirimente, i motivi addotti – sia quello sulla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p. sia quello sulla congruità della pena – sono estranei al catalogo di censure ammissibili contro una sentenza di patteggiamento. La legge limita l’impugnazione a questioni come l’errata qualificazione giuridica del fatto, l’illegalità della pena o l’omessa applicazione di una misura di sicurezza. Infine, la Corte ha ravvisato una colpa del ricorrente nella proposizione di un’impugnazione palesemente infondata, giustificando così la condanna non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende.

Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche della Decisione

Questa ordinanza conferma un principio consolidato: la scelta del patteggiamento è una decisione strategica che implica una rinuncia a far valere determinate contestazioni nelle fasi successive. Chi accede a questo rito non può, in un secondo momento, dolersi della congruità della pena che ha contribuito a negoziare, se non nei ristretti limiti di una pena ‘illegale’ (cioè non prevista dall’ordinamento per quel reato). Il ricorso in Cassazione non può diventare uno strumento per rimettere in discussione l’accordo raggiunto. La decisione serve da monito: un’impugnazione avventata, basata su motivi non consentiti dalla legge, non solo è destinata al fallimento ma comporta anche significative conseguenze economiche per il ricorrente.

È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’impugnazione di una sentenza emessa a seguito di patteggiamento è consentita solo per i motivi tassativamente elencati dalla legge all’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, che non includono una generica contestazione sulla congruità della pena concordata.

Perché il ricorso in questo specifico caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi sollevati (omessa motivazione sull’esclusione del proscioglimento e vizio di motivazione sulla congruità della pena) erano generici, non supportati da elementi fattuali specifici e, soprattutto, estranei al catalogo dei motivi consentiti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente, come in questo caso, quest’ultimo viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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