Ricorso Patteggiamento: Limiti e Inammissibilità in Cassazione
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un rito che mira a deflazionare il carico giudiziario, offrendo uno sconto di pena in cambio della rinuncia al dibattimento. Ma una volta che l’accordo è ratificato dal giudice, quali sono le possibilità di contestarlo? Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione chiarisce i rigidi confini del ricorso patteggiamento, confermando come le modifiche legislative abbiano reso questa sentenza quasi inattaccabile.
I Fatti del Caso: La Condanna e l’Appello
Nel caso in esame, un imputato aveva patteggiato una pena per il reato previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/90, ovvero detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Successivamente, attraverso il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione.
Il motivo del ricorso non riguardava la colpevolezza, ma il trattamento sanzionatorio. In particolare, si lamentava un’erronea applicazione della legge e un vizio di motivazione riguardo alla concessione delle circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti (e non prevalenti) rispetto all’aggravante dell’ingente quantitativo di droga.
I Limiti al Ricorso Patteggiamento: La Riforma Orlando
Il cuore della decisione della Cassazione risiede nell’applicazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la cosiddetta Riforma Orlando (legge n. 103/2017), ha drasticamente ristretto i motivi per cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento.
Oggi, la sentenza di patteggiamento può essere impugnata solo per motivi molto specifici:
1. Vizi della volontà: Se il consenso dell’imputato è stato espresso in modo non valido.
2. Difetto di correlazione: Se c’è una discrepanza tra quanto richiesto dalle parti e quanto deciso dal giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica: Se il fatto è stato inquadrato in una fattispecie di reato sbagliata.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: Se la sanzione applicata è contraria alla legge (ad esempio, una pena superiore al massimo edittale).
Qualsiasi altro motivo, inclusa la valutazione del giudice sulla congruità della pena o sul bilanciamento tra attenuanti e aggravanti, è escluso.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte, analizzando il ricorso, ha subito evidenziato come le doglianze difensive non rientrassero in nessuna delle categorie ammesse dall’art. 448, comma 2-bis. La critica mossa al bilanciamento delle circostanze non configura un’ipotesi di ‘pena illegale’, ma attiene a una valutazione discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità per le sentenze di patteggiamento.
La Corte ha specificato che la censura era ‘palesemente contraddetta’ dal contenuto della sentenza impugnata, dove il giudice aveva motivato la congruità della pena concordata. Pertanto, non sussistendo i presupposti di legge, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Inoltre, la decisione è stata adottata con la procedura semplificata ‘de plano’, prevista dall’art. 610, comma 5-bis c.p.p., che consente alla Corte di dichiarare l’inammissibilità senza udienza pubblica quando si tratta di impugnazioni avverso sentenze di patteggiamento. L’imputato è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di quattromila euro alla Cassa delle ammende.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale nel diritto processuale penale post-riforma: la scelta del patteggiamento comporta una rinuncia quasi totale al diritto di impugnazione. L’imputato e il suo difensore devono ponderare con estrema attenzione l’accordo sulla pena, poiché, una volta ratificato, le possibilità di rimetterlo in discussione sono eccezionalmente limitate. Le valutazioni sulla congruità della pena, che un tempo potevano essere oggetto di appello, sono oggi cristallizzate nell’accordo tra le parti e nella successiva ratifica del giudice, rendendo il ricorso patteggiamento un’arma spuntata per chiunque voglia contestare l’entità della sanzione concordata.
Quali sono gli unici motivi validi per impugnare una sentenza di patteggiamento in Cassazione?
Secondo l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, una sentenza di patteggiamento può essere impugnata solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto, o all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
È possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento perché si ritiene la pena troppo severa o le attenuanti mal valutate?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che le lamentele relative al trattamento sanzionatorio, come la valutazione sulla congruità della pena o il bilanciamento tra circostanze attenuanti e aggravanti, non rientrano tra i motivi ammessi per l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento, in quanto non costituiscono un’ipotesi di ‘pena illegale’.
Cosa significa che la Cassazione decide un ricorso ‘de plano’?
Significa che la Corte decide sull’inammissibilità del ricorso senza le formalità di un’udienza pubblica e senza la presenza delle parti. Questa procedura semplificata è espressamente prevista dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p. proprio per le dichiarazioni di inammissibilità dei ricorsi avverso le sentenze di applicazione della pena su richiesta.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36676 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36676 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/02/2024 del GIP TRIBUNALE di BOLOGNA
(dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con cui, a seguito di giudizio definito con il rito del patteggiamento, è stata applicata la pena concordata tra le parti in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90.
A motivi di ricorso la difesa lamenta erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio con particolare riferimento alla concessione delle circostanze attenuanti generiche in rapporto di equivalenza alla contestata aggravante dell’ingente quantitativo.
Considerato che, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge n. 103 del 2017, in vigore dal 3 agosto 2017, il ricorso avverso la sentenza di patteggiannento risulta proponibile solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tr richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto, all’illegali della pena o della misura di sicurezza.
Considerato che i rilievi difensivi non rientrano tra quelli per i quali proponibile l’impugnazione, trattandosi di pena non illegale e che la censura è comunque palesemente contraddetta dal contenuto della pronuncia, in cui si reputa congruo il trattamento sanzionatorio, con valutazione insindacabile in questa sede.
Ritenuto che la decisione in ordine alla inammissibilità del ricorso deve essere adottata “de plano”, poiché l’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. prevede espressamente, quale unico modello procedimentale per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso avverso la sentenza di applicazione della pena, la dichiarazione senza formalità.
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, stimata equa, di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 17 settembre 2024
Il Consigliere estensore