Ricorso Patteggiamento: La Cassazione Fissa i Paletti dell’Impugnazione
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie principali per definire un procedimento penale in modo rapido. Tuttavia, la possibilità di contestare la sentenza che ne deriva non è illimitata. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con fermezza i confini entro cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento, delineando chiaramente le cause di inammissibilità. Questa pronuncia offre spunti fondamentali per comprendere quando e come si può sfidare un accordo sulla pena.
Il Caso in Esame
La vicenda trae origine dal ricorso presentato da un imputato condannato, tramite patteggiamento, per il reato di rapina aggravata in concorso. Il Tribunale di Lecce aveva applicato la pena concordata tra le parti, riconoscendo un’attenuante ma escludendo la recidiva.
L’imputato, tramite il suo difensore, ha deciso di impugnare la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge penale e un vizio di motivazione. In particolare, il ricorrente sosteneva che il giudice di merito non avesse verificato adeguatamente la sussistenza di cause di proscioglimento, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale, e che la qualificazione giuridica del fatto fosse errata.
L’Analisi della Cassazione sul Ricorso Patteggiamento
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione sull’interpretazione rigorosa dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta dalla riforma Orlando del 2017, limita drasticamente i motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere impugnata.
I Limiti Tassativi del Ricorso
La Corte ha chiarito che il ricorso patteggiamento non può essere utilizzato per sollevare questioni relative alla valutazione delle prove o alla presunta mancata verifica di cause di proscioglimento. L’accordo tra accusa e difesa implica una rinuncia a contestare l’accertamento del fatto, e il controllo del giudice è limitato alla correttezza della qualificazione giuridica, alla congruità della pena e all’assenza di evidenti cause di non punibilità.
Il ricorso è ammissibile solo per le ipotesi tassativamente indicate dalla legge, tra cui:
* Erronea qualificazione giuridica del fatto.
* Applicazione di una pena illegale.
* Mancata o erronea applicazione di misure di sicurezza.
La Qualificazione Giuridica: Solo Errori Manifesti
Anche per quanto riguarda l’erronea qualificazione giuridica, la Cassazione ha precisato un punto cruciale. Riprendendo un orientamento consolidato, anche delle Sezioni Unite, ha affermato che l’errore sul nomen iuris (il nome giuridico del reato) può essere denunciato solo se è manifesto.
Ciò significa che il vizio deve essere evidente, palese e non soggetto a margini di opinabilità. Non è sufficiente prospettare una diversa ricostruzione giuridica possibile; è necessario che quella adottata dal giudice sia prima facie errata o strumentale. Se la qualificazione scelta rientra in un’interpretazione plausibile, l’accordo tra le parti la cristallizza e non può essere rimessa in discussione tramite ricorso.
le motivazioni
La decisione della Corte di Cassazione si fonda sul principio che il patteggiamento è un negozio processuale basato sull’accordo delle parti. L’imputato, accettando di patteggiare, rinuncia a contestare nel merito l’accusa in cambio di uno sconto di pena. Consentire un’impugnazione ampia svuoterebbe di significato l’istituto stesso.
L’articolo 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. è stato introdotto proprio per deflazionare il carico della Cassazione, limitando i ricorsi a vizi di legittimità gravi ed evidenti. Pertanto, un ricorso patteggiamento che si limiti a riproporre questioni di merito o a contestare valutazioni che spettano al giudice della cognizione è destinato all’inammissibilità. La conseguenza di tale declaratoria, come stabilito dall’articolo 616 del codice di procedura penale, è la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.
le conclusioni
Questa ordinanza conferma un indirizzo giurisprudenziale rigoroso: il patteggiamento è una scelta processuale che comporta conseguenze precise, tra cui una forte limitazione del diritto di impugnazione. Chi opta per questa strada deve essere consapevole che la sentenza potrà essere contestata in Cassazione solo per vizi specifici e manifesti, e non per rimettere in discussione l’accordo raggiunto. La pronuncia serve da monito sulla necessità di ponderare attentamente la strategia difensiva, poiché le porte del ricorso, una volta siglato l’accordo, si chiudono quasi ermeticamente.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale limita la possibilità di ricorso a specifiche ipotesi tassativamente elencate dalla legge, escludendo contestazioni generiche sulla valutazione delle prove o sulla sussistenza di cause di proscioglimento.
Si può contestare la qualificazione giuridica del reato in un ricorso patteggiamento?
Sì, ma solo a condizione che l’errore nella qualificazione giuridica del fatto sia ‘manifesto’. Ciò significa che l’errore deve essere evidente e non basato su una diversa interpretazione opinabile. Se la qualificazione è plausibile, l’accordo tra le parti la rende definitiva.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30014 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 2 Num. 30014 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NARDO’ il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/04/2024 del GIP TRIBUNALE di LECCE
letto il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
ricorso trattato de plano
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avverso la sentenza del Gip del Tribunale di Lecce che ha applicato al ricorrente, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena concordata tra le parti in ordine ai reati di rapina aggravata in concorso, esclusa la recidiva e riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen.
Con un unico motivo deduce l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione in relazione agli artt. 129, 444 cod. proc. pen. e 628, comma 1, comma 3, n. 1) e n. 3-quinques cod. pen.
Il ricorso è inammissibile in quanto proposto fuori dei casi consentiti dalla legge (art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.).
La Corte di legittimità ha, infatti, affermato che:
in tema di patteggiamento è inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza applicativa della pena con cui si deduca il vizio di violazione di legge per la mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 cod., atteso che l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017 n. 103, limita l’impugnabilità della pronuncia alle sole ipotesi di violazione di legge in esso tassativamente indicate (Sez. F, ord. n. 28742 del 25/08/2020, Rv. 279761 – 01, Sez. 6, n. 10:31 del 07/11/20:19, dep. 2020, Rv. 278337 – 01). E tanto a prescindere dalla presenza, nella sentenza impugnata, di una motivazione che dà conto degli elementi di prova in forza dei quali si è esclusa la ricorrenza delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen.;
sebbene, in tema di patteggiamento, con il ricorso per cassazione possa denunciarsi, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., anche l’erronea qualificazione giuridica del fatto, così come prospettata nell’accordo negoziale e recepita dal giudice, in quanto la qualificazione giuridica è materia sottratta alla disponibilità delle parti e l’errore su di essa costituisce errore di diritto rilevante sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., nondimeno, l’errore sul nomen iuris deve essere manifesto. Infatti, per consolidato orientamento di questa Corte di legittimità, espresso a Sezioni Unite (sentenza n. 5838 del 28/11/ 2013, dep. 6/02/2014, in motivazione) e ribadito anche a seguito della novella di cui alla legge n. 131 del 2017, tale vizio è deducibile nei soli casi in cui sussista l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti margini di opinabilità (cfr. ) Sez. 6, ord. n. 3108 dell’8/1/2018, Rv. 272252 anche sulla legittimità del ricorso alla procedura de plano nei casi di genericità del motivo). Nel caso di specie, la deducibilità dell’invocato errore deve essere esclusa, non risultando prima facie erronea o strumentale la qualificazione giuridica dei fatti,
così come proposta dalle parti e positivamente delibata dal giudice a quo.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa per le ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, il 19 luglio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente