Ricorso Patteggiamento: Limiti e Inammissibilità secondo la Cassazione
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è uno strumento fondamentale nel nostro sistema processuale penale, ma quali sono i limiti per contestare la sentenza che ne deriva? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui confini del ricorso patteggiamento, sottolineando come non sia possibile impugnare la misura della pena concordata, a meno che non si configuri una vera e propria illegalità. Questo principio mira a preservare la natura negoziale e la stabilità dell’accordo raggiunto tra accusa e difesa.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da una sentenza emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Torino. Sulla base di un accordo tra le parti, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, un imputato veniva condannato alla pena di cinque anni di reclusione e 1000,00 euro di multa. Le accuse a suo carico erano gravi e plurime, includendo reati di rapina, ricettazione e violazioni in materia di armi.
Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso per Cassazione, contestando la pena inflitta. Con un unico motivo, si lamentava una violazione di legge, sostenendo che la pena si scostasse significativamente dai minimi edittali senza una specifica motivazione da parte del giudice.
Analisi del Ricorso Patteggiamento e dei suoi Limiti
La difesa ha tentato di far valere un presunto vizio della sentenza, argomentando che l’entità della pena, sebbene concordata, fosse sproporzionata e non adeguatamente giustificata. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha prontamente respinto tale prospettazione, dichiarando il ricorso patteggiamento inammissibile perché manifestamente infondato, generico e aspecifico.
La Suprema Corte ha richiamato il perimetro normativo che regola l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento, delineato dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che il ricorso è consentito solo per motivi specifici e tassativi, quali:
1. Problemi relativi all’espressione della volontà dell’imputato (consenso viziato);
2. Mancata correlazione tra la richiesta e la sentenza;
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto;
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Il motivo sollevato dal ricorrente non rientrava in nessuna di queste categorie.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte ha chiarito che contestare la congruità della pena concordata non equivale a denunciare una ‘pena illegale’. Una pena è illegale quando è estranea al sistema sanzionatorio, non prevista dalla legge per quel reato specifico, oppure quando supera i limiti massimi o è inferiore ai minimi stabiliti dalla norma.
Nel caso di specie, l’imputato si limitava a definire ‘illegale’ la pena in modo generico, senza indicare alcun parametro normativo violato. In sostanza, la sua era una critica alla quantificazione della pena, un aspetto che, una volta concordato tra le parti nel patteggiamento, esce dalla sfera di sindacato della Cassazione, a meno che non si sconfini nell’illegalità vera e propria.
La doglianza dell’imputato, quindi, si è rivelata un tentativo di rimettere in discussione il merito dell’accordo, valicando i confini stabiliti dall’art. 448, comma 2-bis. L’assenza di una reale e comprovata illegalità della pena ha reso il motivo del tutto infondato.
Le Conclusioni
Con questa ordinanza, la Cassazione ribadisce un principio cruciale: il patteggiamento è un accordo che, una volta ratificato dal giudice, assume una stabilità quasi definitiva. Il ricorso patteggiamento non può essere utilizzato come un terzo grado di giudizio per rinegoziare la pena. L’impugnazione è un rimedio eccezionale, limitato a vizi gravi e specifici che intaccano la legalità dell’accordo o della sentenza, e non la mera opportunità o congruità della pena concordata. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di un’ammenda di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
È possibile contestare in Cassazione la misura di una pena concordata con il patteggiamento?
No, di regola non è possibile contestare l’ammontare della pena se questa rientra nei limiti previsti dalla legge. L’accordo tra le parti rende la misura della pena non sindacabile, a meno che non si configuri come ‘pena illegale’ in senso tecnico.
Quali sono gli unici motivi per cui si può fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
Secondo l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, i motivi sono limitati a: un vizio nella volontà dell’imputato, il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, un’erronea qualificazione giuridica del fatto, e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Cosa si intende per ‘pena illegale’ nel contesto di un ricorso patteggiamento?
Una pena è considerata ‘illegale’ quando non è prevista dall’ordinamento per quel reato o quando la sua quantificazione è al di fuori dei limiti minimi e massimi stabiliti dalla legge. Una pena semplicemente ritenuta ‘eccessiva’ ma all’interno dei limiti legali non è considerata illegale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18431 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 2 Num. 18431 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Torino DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/01/2024 del GIP presso il TRIBUNALE di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del difensore del ricorrente che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Gip presso il Tribunale di Torino applicava, sull’accordo delle parti ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., per quanto qui di interesse la pena di anni cinque di reclusione ed euro 1000,00 di multa al RAGIONE_SOCIALE per i plurimi reati di rapina allo stesso ascritti, nonché per i delitti di ricettazione e violazione della disciplina in materia di armi.
COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, che ha dedotto con unico motivo violazione di legge perché la pena era stata irrogata con un significativo scostamento rispetto ai minimi edittali in mancanza di specifica motivazione.
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivo manifestamente infondato, oltre che generico e del tutto aspecifico. Come osservato da questa Corte è sempre possibile ricorrere per cassazione deducendo, sulla base del menzionato art. 448, comma 2-bis, solo per motivi attinenti alla volontà del’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e, infine, alla illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Ciò posto, è evidente che l’odierno ricorrente proponga – con il motivo del tutto generico per come articolato, formalmente inteso a contestare la pena richiesta, definendola illegale in modo del tutto aspecifico, in assenza di qualsiasi effettiva allegazione, senza precisare secondo quale parametro – un motivo manifestamente infondato, in assenza di qualsiasi illegalità della pena irrogata.
Il motivo valica così il perimetro entro cui il citato art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. circoscrive lo scrutinio esercitabile da questa Corte, non ricorrendo, né essendo stata effettivamente allegata una pena illegale.
Il ricorrente deve conseguentemente essere condannato al pagamento delle spese processuali, oltre al pagamento ammenda di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 22 marzo 2024.