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Ricorso patteggiamento: quando è inammissibile?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento per tentata rapina. La ricorrente sosteneva che il giudice non avesse valutato le condizioni per un proscioglimento. La Corte ha ribadito che, in seguito alla riforma del 2017, questo specifico motivo non è più deducibile contro una sentenza di patteggiamento, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: i Limiti Imposti dalla Cassazione

Il ricorso patteggiamento rappresenta una delle aree più delicate del diritto processuale penale, specialmente dopo le recenti riforme legislative. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i confini invalicabili per chi intende impugnare una sentenza emessa a seguito di accordo tra le parti. La decisione analizza il caso di un’imputata che, dopo aver concordato la pena, ha tentato di contestare la sentenza sostenendo che il giudice avrebbe dovuto proscioglierla. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi di diritto affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti del Caso: Dal Patteggiamento al Ricorso

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia aveva applicato a un’imputata la pena concordata di un anno e tre mesi di reclusione, oltre a 400 euro di multa, per il reato di concorso in tentata rapina. Questa procedura, nota come ‘patteggiamento’ (art. 444 c.p.p.), consente di definire il processo più rapidamente in cambio di uno sconto di pena.
Tuttavia, tramite il proprio difensore, l’imputata ha presentato ricorso per cassazione avverso tale sentenza. Il motivo del ricorso era uno solo: la violazione di legge per l’omessa motivazione da parte del giudice sulla sussistenza delle condizioni per un proscioglimento, come previsto dall’art. 129 c.p.p.

La Decisione della Cassazione e i Limiti del Ricorso Patteggiamento

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile in modo netto e senza possibilità di appello. La decisione si fonda su un’interpretazione rigorosa delle norme che regolano l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento, così come modificate dalla legge del 23 giugno 2017, n. 103.
La Corte ha sottolineato che il ricorso era basato su motivi non più deducibili a seguito della riforma, rendendo l’impugnazione proceduralmente impossibile da esaminare nel merito.

Le Motivazioni Giuridiche

Il cuore della motivazione risiede nell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce in modo esplicito che il ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento è consentito solo per un elenco tassativo di motivi, tra i quali non figura la mancata valutazione delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p. La scelta di ‘patteggiare’ implica una rinuncia a contestare l’affermazione di responsabilità nel merito, salvo vizi specifici.
La Cassazione ha richiamato un proprio precedente orientamento (sentenza n. 4727 del 2018), confermando che, quando un ricorso si basa su questo motivo escluso dalla legge, la Corte deve dichiararne l’inammissibilità con un’ordinanza ‘de plano’, ovvero senza una discussione orale.
In conseguenza della declaratoria di inammissibilità, e in base all’art. 616 c.p.p., la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa ravvisata nella proposizione di un ricorso palesemente infondato.

Conclusioni

L’ordinanza in esame è un chiaro monito sull’importanza di comprendere i limiti del ricorso patteggiamento. La riforma del 2017 ha notevolmente ristretto le possibilità di impugnazione, con l’obiettivo di rendere più stabili e definitive le sentenze frutto di un accordo. Contestare una sentenza di patteggiamento sostenendo che il giudice non abbia considerato una possibile assoluzione è una strada proceduralmente sbarrata. Questa decisione non solo consolida un principio giuridico fondamentale ma serve anche a scoraggiare ricorsi dilatori, sanzionando economicamente chi li propone senza fondamento legale.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento sostenendo che il giudice avrebbe dovuto assolvere l’imputato?
No. Secondo l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla legge n. 103 del 2017, non è ammissibile un ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento basato sulla presunta omessa valutazione da parte del giudice delle condizioni per una sentenza di proscioglimento (ex art. 129 c.p.p.).

Qual è la norma chiave che limita il ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
La norma chiave è l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, che elenca i motivi specifici per cui si può ricorrere in Cassazione avverso una sentenza di patteggiamento, escludendo altre ragioni come la mancata valutazione di un’assoluzione.

Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto il ricorso inammissibile viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e di una somma pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, il cui importo viene determinato equitativamente dalla Corte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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