Ricorso Patteggiamento: i Limiti Imposti dalla Cassazione
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è uno strumento processuale fondamentale nel nostro ordinamento, volto a deflazionare il carico giudiziario. Ma una volta che l’accordo sulla pena è stato ratificato dal giudice, quali sono le possibilità di contestarlo? Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione fa luce sui rigidi confini del ricorso patteggiamento, chiarendo quando e perché può essere dichiarato inammissibile.
I Fatti del Caso
Nel caso specifico, un individuo aveva concordato una pena tramite patteggiamento per il reato di tentato furto in abitazione, aggravato e con la contestazione della recidiva. Successivamente, attraverso il proprio difensore, ha presentato ricorso in Cassazione. Il motivo del ricorso era uno solo: un presunto vizio di violazione di legge nel bilanciamento tra le circostanze aggravanti e quelle attenuanti operato dal giudice di merito. In sostanza, la difesa sosteneva che il calcolo della pena finale fosse errato a causa di una scorretta valutazione di questi elementi.
La Decisione e i Motivi del Ricorso Patteggiamento
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile senza nemmeno entrare nel merito della questione sollevata. La decisione si fonda su un principio consolidato, ribadito di recente dalle Sezioni Unite con la sentenza ‘Sacchettino’ (n. 877/2022). Questo principio stabilisce che le sentenze di patteggiamento possono essere impugnate solo per un numero chiuso e limitato di motivi, elencati tassativamente dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Questi motivi includono:
* Problemi legati all’espressione della volontà dell’imputato (es. consenso viziato).
* Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto.
* Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
L’errore nel bilanciamento delle circostanze, lamentato dal ricorrente, non rientra in questo elenco. Pertanto, non costituisce di per sé un valido motivo per un ricorso patteggiamento.
Le Motivazioni
La Corte ha spiegato che un errore nel calcolo della pena, derivante da un non corretto bilanciamento delle circostanze, rende la pena ‘illegale’ solo in un caso specifico: quando il risultato finale eccede i limiti edittali generali (stabiliti dagli artt. 23, 65, 71 c.p.) o quelli previsti per la singola fattispecie di reato. Se la pena finale, pur calcolata attraverso passaggi intermedi potenzialmente errati, rimane all’interno della ‘forbice’ legale (tra il minimo e il massimo edittale), non può essere considerata ‘illegale’.
Nel caso di specie, non era stato sostenuto né provato che la pena applicata fosse andata oltre i limiti massimi o al di sotto dei minimi consentiti. Di conseguenza, il motivo di ricorso è stato ritenuto al di fuori dei casi previsti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento. La declaratoria di inammissibilità è stata quindi una conseguenza diretta, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende.
Le Conclusioni
Questa ordinanza rafforza un orientamento giurisprudenziale chiaro: la volontà del legislatore, con l’introduzione dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., è stata quella di limitare drasticamente la possibilità di impugnare le sentenze di patteggiamento per garantire la stabilità degli accordi e l’efficienza del sistema. Per gli operatori del diritto, ciò significa che la strategia difensiva deve concentrarsi sulla validità dell’accordo al momento della sua formazione, poiché le vie per contestarlo ex post sono estremamente ristrette. Un ricorso patteggiamento basato su motivi non tassativamente previsti è destinato a essere dichiarato inammissibile.
È sempre possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
No, il ricorso è ammesso solo per i motivi tassativamente indicati dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, come un vizio del consenso, un’errata qualificazione giuridica del fatto o l’illegalità della pena.
Un errore del giudice nel bilanciare circostanze aggravanti e attenuanti è un motivo valido per il ricorso?
No, di per sé non è un motivo valido. Lo diventa solo se tale errore porta all’applicazione di una pena ‘illegale’, cioè una pena che superi i limiti massimi o sia inferiore ai minimi previsti dalla legge per quel reato.
Cosa succede se si presenta un ricorso per patteggiamento per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione. Questa decisione comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7744 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 5 Num. 7744 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/09/2023 del TRIBUNALE di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG TOMASO EPIDENDIO
udito il difensore
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
che con l’impugnata sentenza, pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata a COGNOME NOME in relazione al delitto di tentato furto in abitazione, aggravato ai sensi dell’art. 625, comma 1, n. 5 cod. pen., la pena concordata con la Pubblica Accusa, ritenuta la recidiva, reiterata e specifica;
che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore, lamentando, con un solo motivo, il vizio di violazione di legge quanto al bilanciamento tra le circostanze aggravanti ed attenuanti;
che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino, Rv. 283886, proprio pronunciandosi in riferimento ad una fattispecie di applicazione della pena su richiesta delle parti, hanno affermato che «La pena determinata a seguito dell’erronea applicazione del giudizio di comparazione tra circostanze eterogenee concorrenti è illegale soltanto nel caso in cui essa ecceda i limiti edittali generali previsti dagli artt. 23 e seguenti, nonché 65 e 71 e seguenti, cod. pen., oppure i limiti edittali previsti per le singole fattispecie di reato, a nulla rilevando il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge»; ipotesi, quelle richiamate nella massima riportata, che, di certo, non ricorrono nel caso di specie;
che, pertanto, essendo stato il motivo di ricorso proposto al di fuori dei casi previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., come introdotto dalla legge n. 103 del 2017 (che si riferiscono esclusivamente all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza), dello stesso va dichiarata l’inammissibilità, cui si deve far luogo senza formalità di procedura, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.;
che alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 4.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 4.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7/02/2024