LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Ricorso patteggiamento: quando è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso patteggiamento proposto contro una sentenza per reati di droga. La decisione si fonda sui limiti tassativi imposti dall’art. 448, co. 2-bis, c.p.p., che non includono la mancata valutazione dell’assoluzione ex art. 129 c.p.p. come motivo valido di impugnazione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 17 agosto 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Guida ai Motivi di Inammissibilità

Il ricorso patteggiamento rappresenta una delle questioni più delicate e tecnicamente complesse della procedura penale, specialmente a seguito delle recenti riforme. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce chiarimenti fondamentali sui motivi per cui un’impugnazione contro una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti può essere dichiarata inammissibile. Analizziamo insieme la vicenda e le conclusioni dei giudici supremi.

I Fatti del Caso: un Patteggiamento per Stupefacenti

Il caso trae origine da una sentenza emessa dal GIP del Tribunale di Milano, con la quale si applicava a un imputato una pena concordata (patteggiamento) per reati legati agli stupefacenti, previsti dall’art. 73 del d.P.R. 309/890. La difesa dell’imputato, non soddisfatta dell’esito, ha deciso di proporre ricorso per Cassazione. La principale doglianza sollevata era che il giudice di merito non avesse valutato adeguatamente la sussistenza dei presupposti per un proscioglimento immediato dell’imputato, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale.

I Limiti al Ricorso Patteggiamento: L’Analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato l’impugnazione inammissibile, basando la sua decisione su una rigida interpretazione della normativa vigente. Il punto cruciale è l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla legge n. 103/2017. Questa norma ha introdotto un elenco tassativo e limitato di motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento.

I motivi ammessi sono esclusivamente:
1. Vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, un consenso non liberamente prestato).
2. Difetto di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza emessa dal giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto contestato.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.

Nel caso in esame, la difesa non ha sollevato nessuno di questi specifici motivi. La richiesta di una valutazione sul proscioglimento ex art. 129 c.p.p. non rientra in questo elenco chiuso, rendendo di fatto il ricorso inammissibile.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha sottolineato che, non essendo stata eccepita l’illegalità della pena né ravvisati profili di tale natura d’ufficio, e non essendo state sollevate questioni relative agli altri motivi consentiti, l’impugnazione si collocava al di fuori dei casi previsti dalla legge. L’ordinanza chiarisce, per completezza, che la sentenza di patteggiamento era comunque sufficientemente motivata, in quanto il recepimento dell’accordo tra le parti implica una valutazione implicita sull’assenza delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p.

Inoltre, i giudici hanno adottato la procedura “de plano”, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., che consente di dichiarare l’inammissibilità del ricorso contro una sentenza di patteggiamento senza formalità, ovvero senza la necessità di un’udienza pubblica. Questa scelta procedurale rafforza l’idea che, in assenza dei motivi specifici previsti dalla legge, il ricorso è destinato a un rapido rigetto.

Le Conclusioni: Conseguenze dell’Inammissibilità

La dichiarazione di inammissibilità del ricorso ha comportato due importanti conseguenze per il ricorrente. In primo luogo, la condanna al pagamento delle spese processuali. In secondo luogo, e più gravoso, il versamento di una somma di quattromila euro in favore della Cassa delle Ammende. La Corte ha motivato l’entità della sanzione pecuniaria evidenziando che non sussistevano elementi per ritenere che il ricorso fosse stato proposto senza colpa. Questa decisione serve da monito: proporre un ricorso palesemente inammissibile non è un atto privo di conseguenze economiche, ma un’azione che può comportare sanzioni significative.

È possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No. Dopo la riforma introdotta con la legge n. 103/2017, l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. limita tassativamente i motivi di ricorso a questioni relative all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.

La mancata assoluzione immediata (ex art. 129 c.p.p.) è un motivo valido per impugnare un patteggiamento?
No, secondo questa ordinanza non è un motivo valido. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile proprio perché tale doglianza non rientra nell’elenco dei motivi consentiti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento.

Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle Ammende. In questo caso specifico, la somma è stata fissata in quattromila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati