Ricorso Patteggiamento: Quando è Ammissibile? La Cassazione Fissa i Paletti
Il ricorso patteggiamento rappresenta un’area del diritto processuale penale di grande interesse, specialmente dopo le modifiche introdotte dalla cosiddetta ‘Riforma Orlando’ (Legge n. 103/2017). Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione (n. 6076/2024) ci offre l’occasione per chiarire i confini entro cui è possibile impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. La decisione ribadisce che i motivi di ricorso sono tassativi e non lasciano spazio a contestazioni generiche o tardivi ripensamenti.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da un ricorso presentato da un imputato contro una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Monza. L’imputato lamentava due principali aspetti della decisione:
1.  La mancata riqualificazione del fatto in un’ipotesi meno grave (uso personale di sostanza stupefacente) e, di conseguenza, la mancata pronuncia di una sentenza di assoluzione.
2.  L’illegittimità della disposta confisca di una somma di denaro, ritenuta profitto del reato.
L’imputato, in sostanza, cercava di rimettere in discussione in sede di legittimità gli stessi termini dell’accordo raggiunto con la pubblica accusa e ratificato dal giudice di merito.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. Con una motivazione netta e precisa, i giudici hanno smontato entrambi i motivi di doglianza, confermando l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi dopo la riforma del 2017.
I Limiti al Ricorso Patteggiamento
La Corte ha ricordato che l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile presentare ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento. Questi includono:
*   Vizi nell’espressione della volontà dell’imputato.
*   Erronea qualificazione giuridica del fatto.
*   Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
*   Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Il motivo sollevato dal ricorrente, relativo alla mancata assoluzione per uso personale, esula da questo elenco. La Cassazione ha specificato che una censura di questo tipo non rientra tra quelle ammesse dalla legge.
La Contestazione sulla Qualificazione Giuridica
Anche per quanto riguarda la presunta erronea qualificazione giuridica, la Corte ha ritenuto la contestazione inconsistente. I giudici l’hanno definita una ‘formula vuota di contenuti’, un tentativo di contestare, senza una reale giustificazione giuridica, l’accordo precedentemente siglato con il Pubblico Ministero. Non è consentito, alla luce della normativa, utilizzare il ricorso per cassazione come una sorta di ‘ripensamento’ sull’accordo di patteggiamento, denunciando vizi di motivazione che sono inammissibili in questa sede.
La Questione della Confisca
Infine, il secondo motivo di ricorso, riguardante la confisca del denaro, è stato giudicato generico e manifestamente infondato. La Corte ha osservato che la sentenza impugnata aveva chiaramente motivato la confisca, affermando che la somma costituiva il profitto del reato. Il ricorrente, nel suo atto, non ha confutato giuridicamente tale affermazione, limitandosi a una contestazione generica che non ha scalfito la logicità della decisione del Tribunale.
Le Motivazioni
La ratio della decisione della Cassazione risiede nella volontà del legislatore, con la riforma del 2017, di deflazionare il carico della Suprema Corte, limitando drasticamente le impugnazioni contro le sentenze di patteggiamento. L’istituto del patteggiamento si fonda su un accordo tra le parti; consentire un’ampia facoltà di impugnazione su questioni già accettate in precedenza ne minerebbe l’efficacia e la funzione premiale. Di conseguenza, il controllo di legittimità è circoscritto a vizi macroscopici e tassativamente previsti, come un errore palese nella definizione del reato o l’applicazione di una pena illegale, e non può estendersi a una rivalutazione del merito della scelta processuale fatta dall’imputato.
Conclusioni
Questa ordinanza è un importante promemoria dei rigidi paletti che delimitano l’impugnazione della sentenza di patteggiamento. Chi sceglie questa via processuale deve essere consapevole che la possibilità di contestare la decisione in Cassazione è estremamente ridotta. Le censure devono essere specifiche, giuridicamente fondate e rientrare nel novero dei motivi consentiti dall’art. 448, comma 2-bis c.p.p. Tentativi di rimettere in discussione l’accordo in modo generico o di lamentare vizi di motivazione sono destinati, come in questo caso, a una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
 
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No. L’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale limita strettamente i motivi di ricorso a specifiche violazioni, come un vizio nella volontà dell’imputato, un’errata qualificazione giuridica del fatto, la mancanza di correlazione tra richiesta e sentenza o l’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Posso usare il ricorso per contestare la qualificazione del reato che avevo accettato nel patteggiamento?
Sì, ma solo se si dimostra in modo specifico e argomentato una palese erronea qualificazione giuridica. Secondo la Corte, non è sufficiente una contestazione generica o che si risolva in una ‘formula vuota’, in quanto equivarrebbe a un inammissibile ripensamento sull’accordo preso.
Cosa accade se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, la sentenza di patteggiamento diventa definitiva. Inoltre, come stabilito in questa ordinanza, il ricorrente viene condannato a pagare le spese del procedimento e a versare una somma di denaro alla Cassa delle ammende.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6076 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 6076  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/05/2023 del TRIBUNALE di MONZA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminati i motivi del ricorso di NOME;
OSSERVA
Ritenuto che il primo motivo di ricorso avverso la decisione emessa ex art. 444 cod. proc. pen., attraverso il quale si censura l’omessa riqualificazione e l’omessa pronuncia della sentenz di assoluzione per uso personale della sostanza sequestrata è indeducibile in sede di legittimi atteso che la proposta censura esule da quelle che, a seguito delle modifiche apportate al codic di rito dalla legge n. 103 del 2017, entrata in vigore il 3 agosto 2017, possono essere dedo con il ricorso per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena su richiesta de parti, essendo il ricorso ammesso ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, all’erronea qualificazione giurid fatto, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza e all’illegalità della p misura di sicurezza, nessuno dei quali dedotto dal ricorrente (cfr. Sez. 2, n. 4727 11/01/2018, Oboroceanu, Rv. 272014); che la contestazione dell’erronea qualificazione giuridica del fatto, invero, risulta inconsistente e si risolve in una formula vuota di contenuti nell in cui rappresenta l’adesione al precedente accordo data al P.M.; non è consentito, alla luce del modifica normativa, contestare, senza giustificarla, l’erronea qualificazione giuridica del ritenuta nella sentenza di patteggiamento, della quale, in sostanza, si denunciano inammissibi vizi di motivazione (Sez. 6, n. 2721 del 08/01/2018, Bouaroua, Rv. 272026);
rilevato che il secondo motivo di ricorso con cui si deduce la disposta confisca del denaro è generico è manifestamente infondato visto che non contrasta specificamente la decisione che, quanto alla confisca della somma ha affermato costituisse il profitto del reato (in detti term imputazione) e, pertanto, soggetta a confisca ex art. 73, comma 7-bis, d.P.R. cit., argomento che non risulta confutato giuridicamente nel ricorso;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore dell Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 08/01/2024