Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile l’Appello in Cassazione
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è uno strumento fondamentale nel nostro sistema processuale penale, pensato per deflazionare il carico giudiziario. Tuttavia, la scelta di questo rito speciale comporta significative limitazioni al diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini invalicabili del ricorso patteggiamento, confermando che non ogni doglianza può essere portata all’attenzione della Suprema Corte.
I Fatti del Caso
Nel caso di specie, un imputato aveva patteggiato una pena di tre anni di reclusione e 16.000 euro di multa per un reato legato agli stupefacenti, ai sensi dell’art. 73 del D.P.R. 309/1990. La sentenza era stata emessa dal G.I.P. del Tribunale di Milano. Nonostante l’accordo sulla pena, l’imputato, tramite il suo difensore, ha deciso di proporre ricorso per cassazione. L’unico motivo di ricorso era la presunta violazione dell’art. 133 del codice penale, che regola i criteri di discrezionalità del giudice nella commisurazione della pena. In sostanza, si contestava non la legalità della pena, ma la sua congruità.
I Limiti al Ricorso Patteggiamento: La Disciplina dell’Art. 448 c.p.p.
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso immediatamente inammissibile. La decisione si fonda su una norma specifica e restrittiva: l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa disposizione, introdotta con la riforma del 2017, elenca tassativamente i soli motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere impugnata. Essi sono:
1. Difetti nell’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
2. Mancata correlazione tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza emessa.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto contestato.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.
Qualsiasi motivo di ricorso che non rientri in questo elenco è, per legge, inammissibile.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha osservato che la censura sollevata dall’imputato, relativa alla violazione dell’art. 133 c.p., non rientra in nessuna delle categorie ammesse. Contestare la congruità della pena non equivale a contestarne l’illegalità. Una pena è illegale quando è di un tipo non previsto dalla legge per quel reato o quando supera i limiti massimi edittali. La valutazione sulla sua adeguatezza al caso concreto, invece, attiene alla discrezionalità del giudice, una discrezionalità a cui l’imputato rinuncia implicitamente nel momento in cui concorda la pena con il pubblico ministero. Accettando il patteggiamento, l’imputato accetta la pena come frutto di un accordo, cristallizzandola e precludendosi la possibilità di contestarne in seguito l’entità, salvo che essa sia, appunto, illegale.
La declaratoria di inammissibilità, data la chiarezza della norma, è stata pronunciata “senza formalità”, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p., a sottolineare la manifesta infondatezza del ricorso.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale per chiunque si approcci al rito del patteggiamento. La scelta di questo percorso processuale è strategica e deve essere ponderata attentamente, poiché il ‘beneficio’ di una pena ridotta e di un processo più rapido si paga con una forte limitazione del diritto di appello. La possibilità di un ricorso patteggiamento è circoscritta a vizi gravi e specifici, escludendo questioni di merito come la valutazione della gravità del fatto. La decisione della Cassazione funge da monito: un ricorso basato su motivi non consentiti viene non solo respinto, ma comporta anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, 4.000 euro) a favore della Cassa delle ammende. Pertanto, è essenziale che la difesa valuti con estrema cura la sussistenza dei presupposti legali prima di intraprendere la via dell’impugnazione di una sentenza di patteggiamento.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per contestare la congruità della pena applicata?
No, secondo questa ordinanza, non è possibile. I motivi di ricorso contro una sentenza di patteggiamento sono tassativamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., e non includono la valutazione sulla congruità della pena ai sensi dell’art. 133 c.p., che attiene alla discrezionalità del giudice.
Quali sono i motivi validi per fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi validi riguardano esclusivamente: vizi nella formazione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. In questo caso specifico, la somma è stata determinata in 4.000,00 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31611 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31611 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 08/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME (CUI CODICE_FISCALE) nato il 05/02/1998
avverso la sentenza del 20/03/2025 del GIP TRIBUNALE di MILANO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 20 marzo 2025 il G.I.P. del Tribunale di Milano ha applicato a NOME COGNOME ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena di anni tre di reclusione ed euro 16.000,00 di multa in ordine al reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’art. 133 cod. pen.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivo non consentito, considerato che la dedotta censura non rientra tra quelle indicate dall’art. 448, comma 2 – bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardante motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
La declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione deve, pertanto, essere pronunciata «senza formalità», ex art. 610, comma 5 -bis, cod. proc. pen.
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che appare conforme a giustizia stabilire nella somma di euro 4.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma 1’8 luglio 2025
Il Consigliere estensore