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Ricorso patteggiamento: limiti e inammissibilità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso patteggiamento con cui si contestava genericamente la qualificazione giuridica del fatto. La Corte ha ribadito che, ai sensi dell’art. 448 co. 2 bis c.p.p., tale impugnazione è consentita solo in caso di errore manifesto ed immediatamente evidente, non per censure che richiedano una nuova valutazione del merito.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso patteggiamento: limiti e inammissibilità secondo la Cassazione

Il ricorso patteggiamento rappresenta un tema cruciale nella procedura penale, specialmente per quanto riguarda i limiti della sua impugnazione. Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui confini entro cui è possibile contestare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, delineando con precisione i casi di inammissibilità. Questa decisione sottolinea come non sia sufficiente una generica contestazione per rimettere in discussione l’accordo raggiunto tra accusa e difesa.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Bari. L’imputato, in accordo con il Pubblico Ministero, aveva ottenuto l’applicazione di una pena di 6 mesi di reclusione e 2.000 euro di multa per reati legati agli stupefacenti, in concorso con altre persone. Nonostante l’accordo raggiunto, il difensore dell’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione avverso tale sentenza.

Le censure mosse con il ricorso patteggiamento

Il difensore lamentava una violazione di legge, sostenendo che il giudice di primo grado, pur in presenza di un accordo tra le parti, avrebbe dovuto comunque effettuare una verifica approfondita su tre aspetti fondamentali:

1. La correttezza della qualificazione giuridica del fatto;
2. Il corretto bilanciamento delle circostanze attenuanti e aggravanti;
3. La congruità della pena finale, incluso l’aumento calcolato per la continuazione tra i reati.

In sostanza, secondo la difesa, il ruolo del giudice nel patteggiamento non poteva essere quello di un mero ratificatore dell’accordo, ma doveva implicare un controllo sostanziale sulla legalità e correttezza della decisione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una motivazione netta e fondata su principi consolidati. I giudici hanno chiarito che, sebbene il ricorso patteggiamento sia formalmente consentito, le censure devono essere specifiche e non possono risolversi in formule generiche e vuote di contenuto.

Il Limite dell’Art. 448, comma 2 bis, c.p.p.

Il punto centrale della decisione risiede nell’interpretazione dell’art. 448, comma 2 bis, del codice di procedura penale. Questa norma limita espressamente la possibilità di ricorrere in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento per contestare la qualificazione giuridica del fatto. Tale contestazione è ammessa solo nei casi in cui l’errore del giudice sia manifesto e immediatamente evidente dal capo di imputazione. Non è possibile, quindi, utilizzare il ricorso per sollecitare una nuova e diversa valutazione delle prove o degli aspetti fattuali che non emergano con palese evidenza dagli atti.

La Corte ha definito la censura della difesa come “apodittica”, ovvero priva di qualsiasi argomentazione concreta che potesse giustificare una diversa qualificazione giuridica del reato. Non basta enunciare un errore, ma è necessario dimostrare, con immediatezza, la sua palese eccentricità.

Il Controllo sulla Pena Concordata

Per quanto riguarda il bilanciamento delle circostanze e il calcolo della pena, la Cassazione ha ribadito un principio storico: una volta che le parti hanno raggiunto un accordo sulla pena, il sindacato del giudice (e a maggior ragione quello della Corte di Cassazione) non può entrare nel merito della congruità della sanzione. Il controllo è limitato alla verifica che il risultato finale del calcolo non sia illegale, ovvero non violi i limiti edittali o le norme procedurali sul calcolo della pena.

Le Conclusioni

L’ordinanza consolida un orientamento restrittivo sull’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. La decisione della Corte di Cassazione ha importanti implicazioni pratiche:

* Specificità dei motivi: Chi intende proporre un ricorso patteggiamento deve formulare motivi specifici, dettagliati e autosufficienti, che non richiedano alla Corte una rilettura del materiale probatorio.
* Errore manifesto: La contestazione sulla qualificazione giuridica è ammissibile solo se l’errore è palese e immediatamente riscontrabile, senza alcuna attività interpretativa o valutativa complessa.
* Conseguenze dell’inammissibilità: Un ricorso inammissibile comporta non solo la conferma della sentenza impugnata, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.

È sempre possibile contestare la qualificazione giuridica del reato in un ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
No. Secondo l’art. 448, comma 2 bis, c.p.p., tale possibilità è limitata ai soli casi in cui l’errata qualificazione risulti con indiscussa immediatezza palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo d’imputazione, senza che sia necessaria una nuova valutazione di aspetti di fatto.

Cosa si intende per censura “apodittica” in un ricorso patteggiamento?
Si intende una contestazione meramente enunciata che si risolve in una formula vuota di contenuti, non supportata da elementi di fatto specifici che giustifichino un diverso inquadramento giuridico. È una critica generica e non argomentata.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
A norma dell’art. 616 c.p.p., se non si ravvisa l’assenza di colpa nel ricorrente, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna di quest’ultimo al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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