Patteggiamento: quando il ricorso in Cassazione è inutile
L’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, comunemente noto come patteggiamento, rappresenta una scelta strategica per chiudere un procedimento penale in tempi brevi e con una pena ridotta. Tuttavia, la decisione di patteggiare limita notevolmente le successive possibilità di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini invalicabili del ricorso patteggiamento, dichiarandolo inammissibile se fondato su motivi non espressamente previsti dalla legge.
I fatti del caso
Un imputato, dopo aver concordato una pena con il pubblico ministero per i reati di furto aggravato (artt. 624 bis e 625 n. 2 c.p.), vedeva la sua richiesta accolta dal Tribunale di Pordenone. Nonostante l’accordo, l’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione, lamentando vizi relativi al trattamento sanzionatorio applicato.
I limiti al ricorso patteggiamento secondo la Cassazione
La Suprema Corte ha stroncato sul nascere le doglianze del ricorrente. I giudici hanno ribadito che l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento. In particolare, per quanto riguarda la pena, l’unica censura ammessa è quella relativa alla sua ‘illegalità’.
Il ricorso dell’imputato, invece, non denunciava una pena illegale, ma si risolveva in una critica alla valutazione discrezionale del giudice, proponendo di fatto ‘errori valutativi’ che non rientrano tra i vizi deducibili in sede di legittimità per questo tipo di sentenze.
Le motivazioni della decisione
La Corte ha applicato l’articolo 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale, che permette di dichiarare l’inammissibilità del ricorso ‘senza formalità’ quando i motivi proposti sono palesemente non consentiti dalla legge. La logica del legislatore è chiara: se l’imputato accetta di patteggiare, rinuncia a contestare nel merito la decisione, salvo casi eccezionali e ben definiti.
Il ricorso patteggiamento non può diventare uno strumento per rimettere in discussione l’accordo già raggiunto e ratificato. La struttura stessa del ricorso presentato dall’imputato, al di là delle etichette formali utilizzate (come ‘vizio di motivazione’), mirava a contestare l’entità della pena su basi discrezionali, un’operazione preclusa dalla normativa. Pertanto, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Le conclusioni: conseguenze pratiche
La decisione della Cassazione ha comportato conseguenze economiche dirette per il ricorrente. Oltre alla conferma della pena patteggiata, è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di quattromila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa pronuncia serve da monito: intraprendere un ricorso patteggiamento senza basarsi sui motivi specificamente ammessi dalla legge non solo è inefficace, ma può anche risultare costoso. È fondamentale, prima di impugnare una sentenza di patteggiamento, consultare un legale esperto per valutare se le proprie lamentele rientrino nei ristretti limiti fissati dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p.
È sempre possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. Il ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento è ammesso solo per un elenco tassativo di motivi previsti dalla legge, come specificato nell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Quali sono i motivi validi per un ricorso patteggiamento in Cassazione?
I motivi consentiti includono, tra gli altri, l’erronea qualificazione giuridica del fatto, l’illegalità della pena applicata o il mancato rispetto dei requisiti procedurali. Non è invece possibile contestare la valutazione del giudice sull’adeguatezza della pena concordata.
Cosa succede se un ricorso patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Se la Corte di Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2002 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2002 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 04/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 25/12/1998
avverso la sentenza del 18/07/2024 del TRIBUNALE di PORDENONE
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
Rilevato che NOME ricorre avverso la sentenza del Tribunale di Pordenone con la quale, su richiesta dell’imputato ex art. 444 cod. proc. pen. e consenso del pubblico ministero, è stata applicata la pena per i reati di cui agli artt. 624 bis e 625 n.2 cod. pen.
La declaratoria di inammissibilità dell’odierna impugnazione va pronunciata “senza formalità” ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. risolvendosi il ricorso nella prospettazione di censure non consentite.
La disposizione di cui all’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., che elenca espressamente gli unici casi nei quali è previsto il ricorso per cassazione avverso la decisione di applicazione della pena, consente alle parti di dedurre vizi del trattamento sanzionatorio solo in punto di illegalità della pena, da escludersi nel caso di specie.
Nel caso in esame la stessa struttura del ricorso si risolve, al di là dell’enunciazione del vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, nella denuncia di errori valutativi.
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di quattromila euro in favore della Cassa delle ammende.
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Così deciso il 4 dicembre 2024
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