Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile in Cassazione
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una scelta strategica fondamentale nel processo penale. Tuttavia, una volta intrapresa questa strada, le possibilità di impugnare la sentenza sono molto limitate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione illumina i confini invalicabili del ricorso patteggiamento, chiarendo quali motivi sono ammessi e quali, invece, conducono a una dichiarazione di inammissibilità con conseguenze economiche per il ricorrente.
Il Caso: Un Ricorso Contro una Sentenza di Patteggiamento
Nel caso in esame, un imputato aveva concordato con il Pubblico Ministero una pena per il reato di furto aggravato, ottenendo una sentenza di patteggiamento dal Tribunale. Successivamente, attraverso il proprio difensore, decideva di impugnare tale sentenza davanti alla Corte di Cassazione. Il motivo del ricorso si basava su un presunto vizio di motivazione riguardo alla sussistenza di una circostanza aggravante, ovvero l’esposizione dei beni sottratti alla pubblica fede (art. 625, comma 1, n. 7 c.p.). In sostanza, la difesa non contestava la volontà di patteggiare, ma il ragionamento logico-giuridico del giudice nel qualificare il fatto.
La Riforma e i Limiti al Ricorso Patteggiamento
La Corte di Cassazione ha immediatamente respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su una norma chiave della procedura penale: l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Introdotta con la legge n. 103 del 2017, questa disposizione ha drasticamente ristretto le possibilità di impugnare le sentenze di patteggiamento.
La legge stabilisce che il ricorso patteggiamento in Cassazione è consentito solo per un elenco tassativo di motivi:
1. Vizi della volontà dell’imputato: se il consenso al patteggiamento non è stato espresso liberamente e consapevolmente.
2. Difetto di correlazione: se la sentenza non corrisponde a quanto richiesto dalle parti.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato classificato in modo errato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: se la sanzione applicata è contraria alla legge.
Come sottolineato dalla Corte, il ‘vizio di motivazione’ non rientra in questo elenco. Il legislatore ha volutamente escluso la possibilità di contestare il percorso argomentativo del giudice, per dare stabilità e definitività alle sentenze concordate.
La Decisione della Corte di Cassazione sul Ricorso Patteggiamento
La Suprema Corte ha applicato in modo rigoroso la norma, ribadendo che l’elenco dei motivi di ricorso è chiuso e non suscettibile di interpretazioni estensive. Poiché il ricorrente lamentava un vizio di motivazione, un motivo non previsto dalla legge, il suo ricorso è stato dichiarato inammissibile ‘all’evidenza’.
L’inammissibilità non è stata priva di conseguenze. In applicazione dell’articolo 616 del codice di procedura penale, la Corte ha condannato il ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di quattromila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione è stata giustificata dalla ‘colpa’ del ricorrente nell’aver proposto un’impugnazione per motivi palesemente non consentiti dalla legge.
Le Motivazioni della Corte
Le motivazioni della Corte sono state lineari e perentorie. La scelta del legislatore di limitare l’impugnabilità delle sentenze di patteggiamento è chiara: si vuole evitare che un rito premiale, basato sull’accordo tra le parti, venga poi messo in discussione per aspetti legati alla discrezionalità valutativa del giudice. Contestare la motivazione equivarrebbe a rimettere in discussione il merito della decisione, un’attività preclusa in sede di legittimità, specialmente dopo un accordo processuale. La norma, quindi, serve a garantire l’efficienza del sistema e a sanzionare impugnazioni dilatorie o palesemente infondate.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza conferma un principio fondamentale per chiunque affronti un processo penale: la scelta del patteggiamento è una decisione quasi definitiva. È cruciale che l’imputato e il suo difensore valutino con estrema attenzione tutti gli aspetti del caso prima di accordarsi sulla pena. Dopo la sentenza, le possibilità di ‘ripensamento’ sono circoscritte a vizi gravi e specifici, attinenti alla legalità della pena o alla formazione della volontà, e non a semplici divergenze sull’interpretazione dei fatti o sulla logica della motivazione. Proporre un ricorso al di fuori di questi stretti binari non solo è inutile, ma comporta anche un significativo onere economico.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per un errore nella motivazione del giudice?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che, in base all’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, il vizio di motivazione non rientra tra i motivi per cui si può ricorrere contro una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento).
Quali sono i motivi validi per fare ricorso contro un patteggiamento?
Il ricorso è ammesso solo per motivi tassativamente indicati dalla legge, quali problemi nell’espressione della volontà dell’imputato, un’errata qualificazione giuridica del fatto, l’illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza, o la mancata corrispondenza tra la richiesta e la sentenza.
Cosa succede se si presenta un ricorso per patteggiamento per motivi non consentiti?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver proposto un ricorso basato su motivi non previsti dalla legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 6094 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 5 Num. 6094 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a MARSALA il 15/01/1974
avverso la sentenza del 24/10/2024 del TRIBUNALE di MARSALA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Marsala applicava al ricorrente la pena concordata con il Pubblico Ministero per il delitto di furto aggravato.
Avverso tale decisione la COGNOME lamenta, a mezzo del proprio difensore avv. NOME COGNOME, violazione dell’art. 625, primo comma, n. 7, cod. pen. e correlato vizio di motivazione in ordine all’integrazione della circostanza aggravante dell’esposizione dei beni sottratti alla pubblica fede.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile, atteso che l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017 n. 103, limita l’impugnabilità della pronuncia di applicazione della pena su richiesta delle parti alle sole ipotesi di violazione di legge in esso tassativamente indicate, ossia a «motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra l richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegal della pena o della misura di sicurezza».
Non rientra, dunque, all’evidenza, nel novero delle ipotesi nelle quali si può ricorrere per cassazione contro la pronuncia di applicazione della pena su richiesta delle parti il dedotto vizio di motivazione.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ex art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende, che si ritiene equa considerando che il ricorso è stato proposto in violazione di una formalità prescritta dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 21 gennaio 2025
Il Consigliere COGNOME
Il Presidente