Ricorso Patteggiamento: La Cassazione Fissa i Paletti sull’Impugnazione della Pena
L’istituto del patteggiamento rappresenta una scelta strategica fondamentale nel processo penale, ma quali sono i reali confini per contestare la sentenza che ne deriva? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i limiti stringenti del ricorso patteggiamento, chiarendo che la valutazione sulla congruità della pena concordata non rientra tra i motivi ammessi per l’impugnazione. Questa pronuncia offre un importante promemoria sulle conseguenze della scelta di un rito alternativo.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare di Lucca. L’imputato aveva concordato una pena per il reato di detenzione di un chilogrammo di cocaina, fattispecie ritenuta in continuazione con un precedente reato in materia di stupefacenti per cui era già stato condannato.
Successivamente, tramite il proprio difensore, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, non contestando la propria responsabilità o la qualificazione del reato, ma criticando esclusivamente l’entità dell’aumento di pena applicato per la continuazione, ritenuto eccessivo (4 mesi di reclusione e 1.500 euro di multa).
L’Analisi della Corte e i limiti del ricorso patteggiamento
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su una rigorosa interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la riforma del 2017 (Legge n. 103/2017), ha circoscritto in modo netto i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento.
Secondo la Corte, il legislatore ha voluto limitare il ricorso patteggiamento ai soli vizi che ne intaccano la legalità strutturale, escludendo ogni sindacato sul merito della pena concordata tra le parti. I motivi ammessi sono tassativi:
1. Vizi della volontà: Problemi legati all’espressione del consenso da parte dell’imputato.
2. Difetto di correlazione: Mancata corrispondenza tra quanto richiesto dalle parti e quanto deciso dal giudice.
3. Errata qualificazione giuridica: Errore del giudice nel classificare il fatto come un determinato reato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: Applicazione di una sanzione non prevista dalla legge o in misura superiore al massimo edittale.
Il motivo sollevato dall’imputato, relativo alla quantificazione dell’aumento di pena per la continuazione, non rientra in nessuna di queste categorie, configurandosi come una critica alla valutazione discrezionale del giudice, non consentita in sede di legittimità per questo tipo di sentenze.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione richiamando un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. La ratio della riforma del 2017 è stata quella di deflazionare il carico di lavoro della Suprema Corte, impedendo ricorsi meramente dilatori o basati su aspetti discrezionali che si presumono accettati con l’accordo stesso. Scegliere il patteggiamento significa accettare un calcolo della pena che, pur muovendosi all’interno dei limiti di legge, comporta un certo grado di discrezionalità.
Contestare tale discrezionalità a posteriori equivarrebbe a rimettere in discussione il fondamento stesso dell’accordo. La pena diventa ‘illegale’, e quindi impugnabile, solo quando viola i limiti minimi o massimi stabiliti dalla legge per quel reato, ma non quando è semplicemente ritenuta ‘severa’ o ‘incongrua’ dal ricorrente. L’inammissibilità del ricorso, pertanto, è una conseguenza diretta della natura negoziale del rito.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame conferma un principio cruciale per la difesa tecnica: la decisione di accedere al patteggiamento è irreversibile per quanto riguarda la quantificazione della pena, salvo i casi di palese illegalità. Le valutazioni sulla congruità dell’aumento per la continuazione, della concessione delle attenuanti o di altri aspetti discrezionali devono essere ponderate e discusse prima della formalizzazione dell’accordo con il Pubblico Ministero.
Una volta che il giudice ha ratificato il patteggiamento, le porte del ricorso si chiudono per tutte le questioni che non attengono a una violazione di legge tassativamente prevista. Per gli avvocati, ciò significa dover illustrare con estrema chiarezza al proprio assistito le conseguenze e i limiti di questa scelta processuale, mentre per l’imputato significa comprendere che non vi sarà una ‘seconda possibilità’ per rinegoziare la pena.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento criticando l’entità della pena concordata?
No. L’ordinanza chiarisce che, in base all’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., il ricorso contro una sentenza di patteggiamento non può riguardare la mera determinazione della pena. È ammesso solo per motivi specifici come l’illegalità della pena, un difetto di volontà dell’imputato, un’errata qualificazione giuridica del fatto o la non corrispondenza tra richiesta e sentenza.
Per quali motivi si può fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi sono tassativamente indicati dalla legge e sono: motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Cosa succede se il ricorso contro un patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro, in questo caso fissata in 4.000 euro, a favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa nell’aver proposto un ricorso non consentito dalla legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 39349 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 39349 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/02/2024 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di LUCCA
421ate-av 445 G-a-Pe-laaFt -it –
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Il Tribunale di Lucca, con la sentenza indicata in epigrafe, ha applicato ad NOME COGNOME, ex art. 444 cod. proc. pen., la pena per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, con riferimento a 1 kg di cocaina, ‘ritenuto in continuazione con fattispecie in materia di stupefacenti già oggetto di condanna (quest’ultima considerata più grave).
Avverso la sentenza l’imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione articolando un motivo con il quale ha sostanzialmente criticato il determinato aumento (pari a 4 mesi di reclusione ed euro 1.500,00 di multa) per la continuazione c.d. esterna della fattispecie sub iudice (avente a oggetto 1 kg di cocaina) con quella già oggetto di condanna.
Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivo non proponibile in sede di legittimità.
Trattandosi di sentenza che ha ratificato l’accordo proposto successivamente all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 50, I. n. 103 del 2017, trova applicazione il comma 2-bis dell’art. 448 cod. proc. pen. che limita il ricorso per Cassazione avverso la sentenza di c.d. «patteggiamento» ai soli casi in esso previsti («motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tr la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto all’illegalità della pena o della misura di sicurezza»).
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso in quanto deducente la mera determinazione dell’aumento di pena per la continuazione (peraltro motivato a pag. 2 della sentenza impugnata) atteso che il citato art. 448, comma 2-bis, cod.proc. pen., limita l’impugnabilità della pronuncia alle sole ipotesi di violazione d legge in esso tassativamente indicate (ex plurimis: Sez. F, n. 28742 del 25/08/2020, Messnaoui, Rv. 279761 – 01;’Sez. 6, n. 1032 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278337 – 01; Sez. 2, n. 4727 dell’11/01/2018, COGNOME, Rv. 272014 – 01, e, ancora più di recente, Sez. 4, n. 21036 del 05/04/2023, COGNOME, in motivazione; Sez. 4, n. 21050 del 05/04/2023, COGNOME, in motivazione, e Sez. 4, n. 21053 del 05/04/2023, NOME, in motivazione).
All’inammissibilità del ricorso, nella specie dichiarata senza formalità ex art. 610, comma 5, cod. proc. pen., consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deci il 17 settembre 2024
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