Ricorso Patteggiamento: Quando è Ammesso e Perché Viene Dichiarato Inammissibile
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è uno strumento processuale che consente di definire rapidamente un procedimento penale. Tuttavia, una volta che il giudice ha ratificato l’accordo, le possibilità di impugnazione sono molto limitate. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione chiarisce i confini del ricorso patteggiamento, spiegando perché un tentativo di rimettere in discussione la qualificazione giuridica del reato sia destinato a fallire.
I Fatti del Caso
Nel gennaio 2024, il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Teramo ha emesso una sentenza di patteggiamento nei confronti di un imputato. La pena concordata era di due anni e otto mesi di reclusione, oltre a una multa di 12.000,00 euro, per un reato legato agli stupefacenti, previsto dall’art. 73, comma 1, del D.P.R. 309/1990.
Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per cassazione, ritenendo che la sua condotta dovesse essere inquadrata in un’ipotesi di reato meno grave, ovvero quella del fatto di lieve entità descritta dal comma 5 dello stesso articolo.
Il Motivo del Ricorso Patteggiamento Presentato
L’unico motivo di doglianza sollevato dalla difesa consisteva nell’erronea applicazione della legge. In particolare, si contestava la mancata configurazione del reato nella sua forma più lieve. Secondo il ricorrente, i fatti avrebbero dovuto essere qualificati diversamente, portando a una pena inferiore. Questo tipo di contestazione, tuttavia, si scontra con i rigidi limiti imposti dalla legge per l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda sull’interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta nel 2017, elenca in modo tassativo i soli motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere contestata.
Le Motivazioni
La Corte ha spiegato che il motivo sollevato dall’imputato non rientra in nessuna delle categorie ammesse dalla legge. I motivi validi per un ricorso patteggiamento sono esclusivamente:
1. Vizi della volontà: quando il consenso dell’imputato all’accordo non è stato espresso liberamente.
2. Difetto di correlazione: se c’è una discrepanza tra quanto richiesto dalle parti e quanto deciso dal giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica: ma solo se questa ha portato a configurare un reato per cui il patteggiamento non sarebbe stato possibile, o se la pena applicata risulta illegale.
4. Illegalità della pena: quando la sanzione non è conforme alla legge o è stata applicata una misura di sicurezza al di fuori dei casi consentiti.
La richiesta di re-inquadrare il fatto come “di lieve entità” non rientra in queste ipotesi. Non si tratta di un’illegalità della pena, né di un vizio della volontà. È, di fatto, un tentativo di rimettere in discussione una valutazione di merito che, con la scelta del patteggiamento, l’imputato ha implicitamente accettato. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile “senza formalità”, e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e a versare 4.000,00 euro alla Cassa delle ammende.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la scelta del patteggiamento comporta una rinuncia a contestare nel merito l’accusa. Le possibilità di impugnazione sono eccezionali e limitate a vizi procedurali gravi o a palesi illegalità. Non è possibile utilizzare il ricorso per cassazione come un “terzo grado” di giudizio per ottenere una qualificazione del fatto più favorevole, se questa rientrava già nella piena disponibilità delle parti al momento dell’accordo. La decisione della Cassazione serve da monito: la via del patteggiamento, una volta intrapresa, chiude la porta a gran parte delle contestazioni successive.
È sempre possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
No, il ricorso è ammesso solo per i motivi tassativamente indicati dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, come vizi della volontà, illegalità della pena o erronea qualificazione giuridica solo a determinate condizioni.
Contestare la qualificazione giuridica del fatto è un motivo valido per il ricorso patteggiamento?
No, a meno che l’erronea qualificazione non abbia reso illegale la pena applicata o abbia permesso di patteggiare per un reato che non lo consentirebbe. Non è possibile usare il ricorso per ottenere una qualificazione più favorevole (es. da reato ordinario a lieve entità), come tentato nel caso di specie.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso contro un patteggiamento?
Comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata a 4.000,00 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37996 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37996 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TERAMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/01/2024 del GIP TRIBUNALE di TERAMO
dato av so alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza dell’8 gennaio 2024 il G.I.P. del Tribunale di Teramo ha applicato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a Gambacorta Cesare la pena di anni due, mesi otto di reclusione ed euro 12.000,00 di multa, in ordine al reato di cui all’art. 73, comma 1, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, erronea applicazione di legge in relazione alla mancata configurazione del fatto nella più lieve ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivo non consentito.
La dedotta censura, infatti, non rientra tra quelle indicate dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardante motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegali della pena o della misura di sicurezza.
La declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione deve, pertanto, essere pronunciata «senza formalità», ai sensi di quanto disposto dall’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che appare conforme a giustizia stabilire nella somma di euro 4.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 10 luglio 2024
Il Consigliere estensore