Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile secondo la Cassazione
Il ricorso patteggiamento rappresenta uno strumento processuale con limiti ben definiti, la cui conoscenza è fondamentale per evitare esiti sfavorevoli. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’analisi chiara dei motivi per cui un’impugnazione contro una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti può essere dichiarata inammissibile. Il caso in esame riguarda un soggetto condannato per detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio che ha tentato di contestare la sentenza di patteggiamento dinanzi alla Suprema Corte.
I Fatti del Caso
Un individuo, a seguito di un accordo con il Pubblico Ministero, otteneva una sentenza di patteggiamento per il reato di detenzione ai fini di spaccio di cocaina. La pena concordata era di tre anni e sei mesi di reclusione e 18.000 euro di multa. Successivamente, l’imputato presentava ricorso per cassazione, lamentando una presunta violazione di legge e una carenza di motivazione da parte del giudice di merito in merito all’affermazione della sua responsabilità penale.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso totalmente inammissibile. I giudici hanno ritenuto le doglianze sollevate dal ricorrente come “assolutamente generiche” e, soprattutto, escluse dai motivi per cui la legge consente di impugnare una sentenza di patteggiamento.
La Corte ha richiamato una modifica legislativa cruciale, la cosiddetta “Riforma Orlando”, che ha introdotto precise limitazioni all’impugnazione delle sentenze emesse a seguito di questo rito speciale.
L’Impatto della Riforma sul Ricorso Patteggiamento
Il punto centrale della decisione risiede nell’applicazione dell’articolo 448, comma II bis, del codice di procedura penale. Questa norma, applicabile ai patteggiamenti richiesti dopo il 3 agosto 2017, stabilisce che il ricorso patteggiamento è ammesso esclusivamente per contestare:
1. La qualificazione giuridica del reato (ad esempio, se i fatti sono stati erroneamente classificati come un reato più grave).
2. L’illegalità della pena applicata.
3. La presenza di vizi del consenso (ovvero se l’accordo tra imputato e PM non è stato espresso liberamente e consapevolmente).
Le critiche del ricorrente, focalizzate sulla valutazione della sua colpevolezza e sulla motivazione del giudice, non rientrano in nessuna di queste categorie. Pertanto, il ricorso è stato giudicato inammissibile a priori.
Il Ruolo del Giudice nel Patteggiamento
La Cassazione ha inoltre ribadito che, nel ratificare l’accordo di patteggiamento, il giudice del merito svolge un controllo specifico. Il suo compito principale è verificare che non sussistano le condizioni per un proscioglimento immediato dell’imputato, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale. La scelta stessa di accedere al patteggiamento implica una rinuncia volontaria a contestare le prove a carico. Di conseguenza, la motivazione del giudice può essere sintetica, purché dia atto di aver compiuto questa verifica preliminare, come avvenuto nel caso di specie.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su un’interpretazione rigorosa della normativa vigente. I giudici hanno evidenziato che le lamentele del ricorrente erano generiche e non pertinenti ai limitati motivi di ricorso previsti per le sentenze di patteggiamento. La scelta del rito speciale comporta l’accettazione di un accertamento di responsabilità più snello, rinunciando implicitamente a contestare le prove. La motivazione del giudice di primo grado, sebbene sintetica, è stata ritenuta adeguata perché ha escluso la possibilità di un proscioglimento immediato, adempiendo così all’onere motivazionale richiesto in questo contesto. La Corte ha quindi applicato il principio consolidato secondo cui il ricorso basato su motivi non consentiti dalla legge deve essere dichiarato inammissibile.
Le Conclusioni
In conclusione, l’ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato: il ricorso patteggiamento non è uno strumento per rimettere in discussione il merito della responsabilità penale. La legge ha volutamente ristretto l’ambito dell’impugnazione per garantire la stabilità e l’efficienza di questo rito premiale. Chi sceglie il patteggiamento deve essere consapevole che le possibilità di contestare la sentenza sono estremamente limitate e circoscritte a vizi specifici e formali. La presentazione di un ricorso per motivi diversi da quelli consentiti porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, l’impugnazione è possibile solo per motivi specificamente previsti dalla legge. L’articolo 448, comma II bis, del codice di procedura penale limita i motivi di ricorso a questioni relative alla qualificazione giuridica del fatto, all’illegalità della pena o ai vizi del consenso.
Perché un ricorso sulla motivazione della responsabilità è stato dichiarato inammissibile?
Perché la contestazione della motivazione sulla responsabilità non rientra tra i motivi ammessi dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento. Accedendo al rito, l’imputato accetta un accertamento di responsabilità basato sugli atti, rinunciando a contestare le prove.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, come sanzione per aver proposto un’impugnazione non consentita.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23852 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23852 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/12/2023 del GIP TRIBUNALE di BOLOGNA
/ dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza del Tribunale di Bologna che ha applicato, su sua richiesta e con il consenso del PM, ai sensi degli artt. 444 e ss. cod. proc. pen., una pena concordata di anni tre mesi sei di reclusione ed euro 18.000 di multa in relazione al reato di detenzione al fine di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina.
Il ricorrente deduce violazione di legge e carenza motivazionale in relazione alla affermazione di responsabilità e al rispetto dell’onere motivazionale in capo al decidente.
I profili di doglianza sopra richiamati sono inammissibili in quanto assolutamente generici, privi di fondamento nonché esclusi dai motivi di impugnazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta, come previsto dall’articolo 448 comma II bis cod.proc.pen., a seguito delle modifiche apportate dalla novella Orlando, applicabile ratione temporis in presenza di richiesta formulata dopo la data del 3.8.2017, la quale limita il ricorso per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena su richiesta a profili concernenti la qualificazione giuridica del reato, la illegalità della pena e i vizi del consenso.
3.1 Invero il giudice, nell’applicare la pena concordata, ha ratificato l’accordo intervenuto tra le parti, escludendo motivatamente, sulla base degli atti, che ricorressero i presupposti di cui all’art. 129 c.p.p. per il proscioglimento dell’odierno ricorrente. La pur sintetica motivazione, avuto riguardo alla (consapevole e volontaria) rinunzia alla contestazione delle prove dei fatti costituenti oggetto di imputazione, implicita nella domanda di patteggiamento, nonché alla speciale natura dell’accertamento devoluto al giudice del merito in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti che ne consegue, appare pienamente adeguata ai parametri indicati per tale genere di decisioni dalla ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. un., n. 5777 del 27 marzo 1992, COGNOME, rv. 191135; Sez. un., n. 10372 del 27 settembre 1995, COGNOME, rv. 202270; sez. un., n. 20 del 27 ottobre 1999, COGNOME, rv. 214637).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 15 maggio 2024
Il Consigliere estensore Il Pres COGNOME COGNOME,