Ricorso Patteggiamento: I Rigidi Confini dell’Appello in Cassazione
L’istituto del patteggiamento rappresenta una delle vie più comuni per la definizione alternativa dei procedimenti penali. Tuttavia, la scelta di questo rito comporta significative limitazioni sul diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per analizzare i confini del ricorso per patteggiamento, chiarendo quando e perché un appello possa essere dichiarato inammissibile.
Il Caso in Esame: un Ricorso contro la Pena Concordata
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare. L’imputato lamentava unicamente l’entità della pena concordata tra le parti e applicata dal giudice. I reati contestati erano lesioni e minaccia, aggravati dall’uso di un’arma (nello specifico, un taglierino). Sebbene la persona offesa avesse successivamente rimesso la querela, il procedimento era andato avanti.
L’imputato, non soddisfatto dell’accordo raggiunto, ha deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, contestando la misura della sanzione penale.
La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile senza neppure entrare nel merito della questione. La decisione si fonda su una precisa norma del codice di procedura penale, l’articolo 448, comma 2-bis, introdotto dalla cosiddetta Riforma Orlando (legge n. 103 del 2017).
Secondo i giudici, i motivi addotti dal ricorrente non rientravano nel novero di quelli per cui è consentito impugnare una sentenza di patteggiamento. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Cassazione sul ricorso patteggiamento
La motivazione dell’ordinanza è lineare e si basa su due pilastri fondamentali.
In primo luogo, la Corte ha ribadito che la riforma del 2017 ha drasticamente limitato la possibilità di presentare un ricorso per patteggiamento. Oggi, sia l’imputato che il pubblico ministero possono impugnare la sentenza solo per motivi specifici e tassativi, quali:
* Un vizio nella formazione della volontà dell’imputato (ad esempio, se il consenso è stato estorto).
* La mancata corrispondenza tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza emessa.
* Un’errata qualificazione giuridica del fatto.
* L’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
La critica sull’entità della pena, essendo questa frutto di un accordo tra le parti, non rientra in nessuna di queste categorie. Pertanto, un ricorso basato esclusivamente su tale doglianza è, per legge, inammissibile.
In secondo luogo, la Corte ha precisato che la remissione della querela da parte della persona offesa era del tutto irrilevante ai fini della decisione. I reati contestati, infatti, erano aggravati dall’uso di un’arma. Tale aggravante li rende procedibili d’ufficio, il che significa che l’azione penale prosegue indipendentemente dalla volontà della vittima. La rinuncia di quest’ultima non poteva, quindi, estinguere il reato.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. Chi sceglie la via del patteggiamento deve essere pienamente consapevole che sta rinunciando a gran parte delle facoltà di impugnazione. La decisione di accordarsi sulla pena è un atto che preclude, in linea di massima, future contestazioni sulla sua congruità.
Il ricorso per patteggiamento in Cassazione è un rimedio eccezionale, attivabile solo in presenza di vizi gravi e specificamente individuati dal legislatore. Presentare un ricorso per motivi non consentiti, come in questo caso, non solo non produce alcun risultato utile, ma comporta anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, aggravando la posizione del ricorrente. La sentenza sottolinea l’importanza di una consulenza legale attenta e consapevole prima di accedere a riti alternativi.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, il ricorso è ammesso solo per motivi specifici previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., come problemi nell’espressione della volontà, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto o illegalità della pena o della misura di sicurezza. La semplice contestazione sull’entità della pena concordata non è un motivo valido.
La remissione della querela estingue sempre il reato?
No. Come chiarito nel caso di specie, se il reato è aggravato (in questo caso, dall’uso di un’arma), diventa procedibile d’ufficio. Ciò significa che lo Stato persegue il colpevole indipendentemente dalla volontà della persona offesa, e la remissione della querela non ha alcun effetto estintivo sul reato.
Cosa succede se si presenta un ricorso per patteggiamento per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. In base all’art. 616 cod. proc. pen., chi ha proposto il ricorso inammissibile viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in denaro in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso analizzato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23690 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23690 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BITONTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/02/2024 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso di NOME COGNOME e la sentenza impugnata.
Ritenuto che l’unico motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché proposto al di fuori dei casi previsti dall’art. 448, comma 2 -bis, cod. proc. pen.;
Considerato, infatti, che in base al nuovo testo di tale norma, introdotto dalla legge n. 103 del 2017, il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto ed all’illegalità della pena o d misura di sicurezza;
Rilevato che il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione rispetto alla entità della pena applicata su richiesta delle parti, motivi non più compresi tra i c per i quali è ammesso il ricorso per cassazione avverso le sentenze di applicazione della pena (v., tra le tante: Sez. 4, 5 giugno 2018, n.38235);
Considerato, altresì, che risulta irrilevante l’avvenuta remissione della querela da parte della persona offesa rispetto alle lesioni ed alla minaccia, poiché tali reati – essen aggravati dall’uso dell’arma (taglierino) – sono perseguibili di ufficio;
Ritenuto che il ricorso deve essere, per tali ragioni, dichiarato inammissibile, de plano, ai sensi dell’art. 610, comma 5 -bis, cod. proc. pen. e che il ricorrente deve essere condannato, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nella presentazione del ricorso (Corte cost., sent. n. 186 del 2000);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 6 giugno 2024.