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Ricorso patteggiamento: limiti e inammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi contro una sentenza di patteggiamento per estorsione. I motivi, basati sull’eccessività della pena e sulla mancata motivazione per il proscioglimento, non rientrano nei casi previsti dalla legge. La decisione rafforza i limiti stringenti del ricorso patteggiamento, confermando che non si può contestare la misura discrezionale della pena concordata, ma solo la sua illegalità.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile? L’Analisi della Cassazione

Il ricorso patteggiamento rappresenta uno strumento processuale con limiti ben definiti. Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione ribadisce con fermezza quali sono i confini per impugnare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. La decisione chiarisce che lamentele sull’eccessività della pena o sulla valutazione del giudice non costituiscono motivi validi per un ricorso, che deve invece basarsi su precise violazioni di legge.

I Fatti del Caso: L’Appello Contro la Pena Concordata

Il caso trae origine dalla decisione del Giudice dell’Udienza Preliminare (G.u.p.) del Tribunale di Siracusa, che aveva applicato a due imputati la pena concordata tra le parti per il reato di estorsione in concorso. Insoddisfatti della sentenza, entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando questioni distinte.

Un ricorrente lamentava l’eccessività della pena applicata a titolo di continuazione tra i reati, mentre l’altro contestava la congruità della pena base. In sostanza, entrambi criticavano la misura della sanzione, ritenendola sproporzionata. Un terzo motivo di ricorso, proposto da un altro difensore, censurava la motivazione della sentenza per non aver adeguatamente considerato la possibilità di un proscioglimento immediato ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale.

I Limiti del Ricorso Patteggiamento secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha trattato i ricorsi con una procedura semplificata, ritenendoli manifestamente inammissibili. Il fulcro della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma elenca tassativamente i motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento.

La giurisprudenza consolidata, citata nell’ordinanza, ha più volte affermato che non è ammesso un ricorso patteggiamento che si limiti a contestare la congruità della pena. Le censure relative alla commisurazione della sanzione, che attengono a valutazioni discrezionali del giudice basate sull’articolo 133 del codice penale, non rientrano nel concetto di “illegalità” della pena, unico presupposto per un’impugnazione valida in questo contesto.

Analogamente, anche il motivo relativo alla mancata valutazione delle condizioni per un proscioglimento è stato giudicato inammissibile. La Corte ha specificato che anche questa doglianza non rientra tra le violazioni di legge tassativamente indicate dalla norma che regola l’impugnazione del patteggiamento.

le motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha basato la sua decisione su un principio fondamentale: la scelta del patteggiamento comporta una rinuncia a far valere alcune doglianze. L’accordo sulla pena presuppone che l’imputato accetti la sanzione in cambio di uno sconto di pena, limitando di conseguenza le future possibilità di impugnazione. Permettere un ricorso basato su profili commisurativi (cioè sulla misura della pena) snaturerebbe la funzione stessa del rito speciale, trasformando la Cassazione in un terzo grado di giudizio sul merito, ruolo che non le compete.

Il ricorso è quindi consentito solo per vizi “grossolani” e specifici, come un errore nella qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione di una pena non prevista dalla legge per quel reato, o un vizio nella formazione della volontà dell’imputato. Le lamentele presentate dai ricorrenti, invece, riguardavano l’esercizio del potere discrezionale del giudice, che non può essere messo in discussione in sede di legittimità dopo un accordo tra le parti.

le conclusioni

Con questa ordinanza, la Cassazione riafferma la stabilità delle sentenze di patteggiamento, chiudendo le porte a ricorsi dilatori o pretestuosi. La decisione ha importanti implicazioni pratiche: chi sceglie il patteggiamento deve essere consapevole che la possibilità di contestare la sentenza è estremamente ridotta. L’attenzione deve essere posta sulla correttezza giuridica dell’accordo e non sull’equità percepita della pena. I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una cospicua somma alla Cassa delle ammende, a monito della non fondatezza delle loro impugnazioni.

È possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento lamentando che la pena è troppo alta?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che non è possibile. Il ricorso è inammissibile se contesta solo l’entità della pena concordata (profili commisurativi), poiché ciò non rientra tra i motivi di illegalità previsti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

Quali sono i motivi per cui si può impugnare una sentenza di patteggiamento?
Il ricorso è ammesso solo per i motivi specifici ed espressamente elencati nell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Questi riguardano principalmente errori di diritto, come l’errata qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione di una pena illegale, o vizi relativi alla volontà dell’imputato di patteggiare.

Cosa succede se si propone un ricorso per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte. Come stabilito in questo caso, i ricorrenti vengono condannati al pagamento delle spese processuali e al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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