Ricorso Patteggiamento: Quando è Ammesso in Cassazione?
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini entro cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento. Il caso analizzato offre spunti fondamentali per comprendere perché il ricorso patteggiamento non può basarsi su una generica contestazione della misura della pena concordata. La decisione sottolinea la volontà del legislatore di limitare l’accesso al giudizio di legittimità per le sentenze emesse con questo rito speciale, circoscrivendolo a vizi specifici e tassativi.
I Fatti del Caso: L’Impugnazione della Pena Concordata
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato condannato con sentenza di applicazione della pena su richiesta per un reato previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/90 (legge sugli stupefacenti). L’imputato lamentava una violazione dell’art. 133 del codice penale, sostenendo che il giudice di merito non avesse adeguatamente valutato la gravità del reato nel determinare la sanzione, seppur concordata tra le parti.
La doglianza, in sostanza, non contestava la legalità della pena in sé, ma il merito della sua quantificazione, un aspetto che si presume definito dall’accordo stesso di patteggiamento.
La Disciplina del Ricorso Patteggiamento in Cassazione
La Corte di Cassazione ha immediatamente inquadrato la questione nell’ambito dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la riforma del 2017, stabilisce che il pubblico ministero e l’imputato possono presentare ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento solo per un numero chiuso di motivi:
1. Vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza del giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto contestato.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.
Qualsiasi altro motivo di ricorso è, per legge, inammissibile.
La Decisione della Corte sul Ricorso Patteggiamento
La Suprema Corte, applicando rigorosamente la norma, ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che le lamentele dell’imputato, incentrate sulla violazione dei criteri di commisurazione della pena (art. 133 c.p.), non rientrano in nessuna delle quattro categorie ammesse. In particolare, la Corte ha tracciato una distinzione netta tra “illegalità” e “commisurazione” della pena.
L’illegalità, che giustifica il ricorso, si verifica quando la sanzione non è prevista dall’ordinamento giuridico per quel reato o eccede, per specie o quantità, i limiti massimi fissati dalla legge. La commisurazione, invece, attiene alla valutazione discrezionale del giudice (e, nel patteggiamento, all’accordo tra le parti) sulla misura della pena all’interno della cornice legale. Quest’ultimo aspetto non è sindacabile in Cassazione dopo un patteggiamento.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano sulla ratio della riforma del 2017, volta a deflazionare il carico della Cassazione e a conferire maggiore stabilità alle sentenze di patteggiamento. Consentire un ricorso basato sulla presunta eccessività della pena concordata significherebbe rimettere in discussione il cuore stesso dell’accordo tra accusa e difesa, vanificando lo scopo del rito speciale. La scelta di patteggiare implica l’accettazione della pena proposta. I motivi di impugnazione sono stati volutamente limitati a vizi strutturali dell’accordo o a errori di diritto macroscopici, come un’errata qualificazione del reato o l’applicazione di una pena non conforme alla legge. Le doglianze del ricorrente, essendo di natura prettamente valutativa e attinenti al merito sanzionatorio, sono state quindi ritenute estranee al perimetro del giudizio di legittimità.
Le Conclusioni
Questa ordinanza consolida un principio fondamentale: l’accordo di patteggiamento cristallizza la valutazione sulla congruità della pena. Le parti, accettando il rito, rinunciano a contestare nel merito la quantificazione della sanzione, a meno che questa non sia palesemente illegale. Per gli operatori del diritto, ciò significa che la valutazione sulla convenienza del patteggiamento deve essere compiuta con estrema attenzione prima della richiesta, poiché gli spazi per un ripensamento successivo in sede di impugnazione sono estremamente ridotti e limitati a profili di pura legittimità, escludendo ogni censura sulla discrezionalità sanzionatoria.
È possibile impugnare in Cassazione una sentenza di patteggiamento lamentando che la pena concordata è troppo alta?
No. Secondo la Corte, non è possibile impugnare la sentenza per motivi legati alla valutazione della gravità del reato (art. 133 c.p.) o alla commisurazione della pena. Tali aspetti sono considerati parte dell’accordo tra le parti e non rientrano nei motivi tassativi di ricorso.
Quali sono gli unici motivi per cui si può fare ricorso contro un patteggiamento?
Il ricorso è consentito solo per quattro motivi specifici: problemi nell’espressione della volontà dell’imputato, mancanza di corrispondenza tra la richiesta e la sentenza, errata qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Cosa si intende per “illegalità della pena” come motivo di ricorso?
Per “illegalità della pena” si intende una sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico per quel reato o una pena che eccede i limiti massimi legali per specie o quantità. Non riguarda la valutazione discrezionale sulla sua misura, che è oggetto dell’accordo di patteggiamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18755 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18755 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/10/2023 del TRIBUNALE di SAVONA udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RG. n.
Rilevato che il ricorso proposto da COGNOME NOME, nei cui confronti è stata emessa sentenza di applicazione della pena per il reato di cui all’art. 73, d.P.R. 309/90, deduce la violazione di legge in relazione all’art. 133, cod. pen. in riferimento alla mancata adeguata valutazione della gravità del reato agli effetti della determinazione della pena;
Rilevato che il ricorso avverso sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. (da trattarsi ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen.) è inammissibile, atteso che, secondo quanto previsto dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. disposizione introdotta con la legge 23 giugno 2017, n. 103 -, il pubblico ministero e l’imputato possono ricorrere per Cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza;
Considerato che, nel caso in esame, il ricorrente ha dedotto vizi che attingono la sentenza di applicazione della pena unicamente per il trattamento sanzionatorio concordato, ma non ha posto a sostegno del suo ricorso alcuna della ipotesi richiamate per le quali è attualmente consentito il ricorso per Cassazione e che conseguentemente si tratta di doglianze avverso sentenze di applicazione della pena su richiesta non consentite nel giudizio di legittimità;
Rilevato, in particolare, che per pacifica giurisprudenza di questa Corte, è inammissibile ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. il ricorso per cassazione che deduca motivi concernenti, non l’illegalità della pena, intesa come sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico ovvero eccedente, per specie e quantità, il limite legale, ma profili commisurativi della stessa, discendenti dall violazione dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ovvero attinenti al bilanciamento delle circostanze del reato o alla misura delle diminuzioni conseguenti alla loro applicazione (Sez. 5, n. 19757 del 16/04/2019, Rv. 276509 – 01);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della cassa delle ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione del ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle s processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso, il 1° marzo 2024
Il consigli re estensore
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Il Presidente