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Ricorso patteggiamento: limiti e inammissibilità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso contro una sentenza di patteggiamento per traffico di stupefacenti. L’imputato lamentava la mancata motivazione del giudice sulla possibile assoluzione ai sensi dell’art. 129 c.p.p. La Corte ha ribadito che, a seguito della riforma del 2017, il ricorso patteggiamento è consentito solo per motivi tassativamente previsti dalla legge, tra cui non rientra il vizio di motivazione sulla colpevolezza, valorizzando così il consenso prestato dall’imputato.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile l’Appello in Cassazione

L’istituto del patteggiamento rappresenta una scelta strategica fondamentale nel processo penale, ma comporta precise conseguenze, soprattutto in tema di impugnazioni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i rigidi confini del ricorso patteggiamento, specificando quali motivi di censura possono essere portati all’attenzione della Suprema Corte. La decisione in esame offre un’analisi puntuale dei limiti introdotti dalla riforma legislativa del 2017, confermando che il vizio di motivazione sulla colpevolezza non rientra più tra le doglianze ammissibili.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal GIP del Tribunale di Taranto. Un soggetto aveva concordato una pena di 4 anni e 6 mesi di reclusione e 24.000 euro di multa per il reato di detenzione ai fini di spaccio di un ingente quantitativo di sostanze stupefacenti (cocaina, hashish e marijuana).

Avverso tale sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un unico vizio: l’omessa motivazione da parte del giudice di merito riguardo alla non applicabilità dell’articolo 129 del codice di procedura penale. Tale norma impone al giudice di pronunciare una sentenza di proscioglimento immediato qualora emerga l’evidenza di una delle cause di non punibilità. Secondo la difesa, il giudice avrebbe dovuto spiegare perché non sussistevano i presupposti per un’assoluzione, anche in presenza di un accordo sulla pena.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La Corte ha stabilito che la doglianza sollevata dall’imputato non rientra nel novero dei motivi per i quali è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento ai sensi della normativa vigente.

Le Motivazioni: I Limiti del Ricorso Patteggiamento Post-Riforma

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla legge n. 103 del 2017. Questa norma ha circoscritto in modo tassativo le ragioni per cui l’imputato e il pubblico ministero possono presentare un ricorso per cassazione contro una sentenza di applicazione della pena su richiesta. I motivi ammessi sono esclusivamente:

1. Difetti nell’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
2. Mancata correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. Errata qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.

La Corte ha sottolineato che il legislatore, con questa novella, ha voluto evitare ogni scrutinio sulla motivazione relativa alla colpevolezza. Sebbene il giudice del patteggiamento abbia sempre l’obbligo di verificare l’assenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., l’eventuale vizio di motivazione su questo punto non è più censurabile in Cassazione.

La ratio della norma è chiara: si valorizza il consenso prestato dall’imputato, che con la richiesta di patteggiamento rinuncia implicitamente a far valere eccezioni sulla ricostruzione dei fatti e sulla sua responsabilità. Pertanto, un motivo di ricorso patteggiamento che mira a contestare lo svolgimento dei fatti o la valutazione di colpevolezza risulta, secondo la Corte, superfluo e contraddittorio rispetto alla scelta processuale compiuta.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale per chi si approccia al rito del patteggiamento. La scelta di accordarsi sulla pena implica una sostanziale rinuncia alla possibilità di contestare nel merito la decisione del giudice in sede di impugnazione. L’imputato deve essere consapevole che, una volta raggiunto l’accordo, le uniche vie per un ricorso in Cassazione sono quelle, molto ristrette, legate a vizi procedurali o a errori manifesti sulla legalità della pena.

La decisione di inammissibilità comporta, inoltre, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata nel caso di specie in 3.000 euro, a causa della manifesta infondatezza delle doglianze. Ciò serve da monito a non intraprendere impugnazioni con motivi non consentiti dalla legge, che si traducono unicamente in un aggravio di costi per il proponente.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza di patteggiamento?
Sì, ma solo per motivi specifici e limitati, come previsto dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Questi includono difetti nel consenso dell’imputato, l’errata qualificazione giuridica del fatto, l’illegalità della pena o della misura di sicurezza e la mancanza di correlazione tra richiesta e sentenza.

Perché il ricorso basato sulla mancata motivazione riguardo all’assoluzione è stato dichiarato inammissibile?
Perché il vizio di motivazione sulla colpevolezza o sulla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p. non rientra più tra i motivi di ricorso ammessi dopo la riforma del 2017. La legge intende valorizzare il consenso dell’imputato, che con il patteggiamento accetta di non contestare più i fatti e la propria responsabilità.

Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte con un’impugnazione priva dei presupposti di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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