Ricorso Patteggiamento: La Cassazione Fissa i Paletti sull’Inammissibilità
L’istituto del patteggiamento rappresenta una delle vie principali per la definizione celere dei procedimenti penali. Tuttavia, la sua natura di accordo tra le parti impone limiti stringenti alla possibilità di impugnazione. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i confini del ricorso patteggiamento, chiarendo quando una censura, pur formalmente corretta, nasconde in realtà un tentativo inammissibile di riesaminare il merito della vicenda.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da una sentenza del Tribunale di Milano, che aveva accolto la richiesta di applicazione della pena (patteggiamento) formulata da un imputato per il reato di tentato furto. Nonostante l’accordo raggiunto, la difesa dell’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione avverso tale sentenza, sollevando questioni relative sia alla punibilità che alla qualificazione giuridica del fatto.
I Motivi del Ricorso Patteggiamento
L’imputato, tramite il suo difensore, ha articolato il suo ricorso patteggiamento su due principali motivi di censura:
1. Vizio di motivazione sulla non punibilità: Si lamentava che il giudice di merito non avesse rilevato la presenza di una causa di non punibilità, come previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale.
2. Erronea qualificazione giuridica: Si contestava la qualificazione del fatto come “tentativo”, mettendo in discussione l’idoneità e l’univocità degli atti compiuti, elementi costitutivi del tentativo di reato.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso totalmente inammissibile. La decisione si fonda su una rigorosa interpretazione delle norme che regolano l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento, in particolare l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Le Motivazioni
I giudici di legittimità hanno smontato punto per punto le argomentazioni della difesa, fornendo chiarimenti cruciali sui limiti del ricorso patteggiamento.
In primo luogo, riguardo alla mancata applicazione di una causa di non punibilità ex art. 129 c.p.p., la Corte ha ricordato un principio consolidato: il controllo di legittimità su questo punto è possibile solo se la causa di proscioglimento appare evidente dagli atti e dal testo stesso della sentenza impugnata. Nel caso specifico, tale evidenza non solo mancava, ma la circostanza non era stata neppure specificamente allegata dal ricorrente in modo concreto. Pertanto, la censura è stata ritenuta infondata.
Ancora più significativa è stata l’analisi del secondo motivo. La Corte ha osservato che, sebbene la doglianza fosse formalmente presentata come “erronea qualificazione giuridica” (uno dei motivi ammessi per il ricorso), nella sostanza essa si traduceva in una critica alla motivazione del giudice sulla sussistenza stessa del reato di tentato furto. Il ricorrente, infatti, non contestava la norma applicata, ma il modo in cui il giudice aveva valutato i fatti per ritenerli idonei e univoci a configurare il tentativo. Questo tipo di censura, che attiene al merito e alla motivazione sulla ricostruzione del fatto, è espressamente escluso dai motivi per cui si può ricorrere contro una sentenza di patteggiamento. La Corte ha quindi “smascherato” il tentativo di aggirare i limiti normativi, guardando alla sostanza della doglianza piuttosto che alla sua etichetta formale.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale volto a preservare la natura e la finalità del patteggiamento come strumento deflattivo del contenzioso. La decisione ribadisce che, una volta raggiunto l’accordo sulla pena, le possibilità di rimettere in discussione la sentenza sono estremamente circoscritte. Non è possibile utilizzare il ricorso patteggiamento per ottenere un nuovo giudizio sul merito della vicenda o per contestare la valutazione del giudice di primo grado sulla sussistenza degli elementi del reato. Questa pronuncia serve da monito: la scelta del patteggiamento è una decisione ponderata che implica una sostanziale rinuncia a contestare l’accertamento di responsabilità, salvo i pochi e specifici casi previsti dalla legge.
È sempre possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
No, il ricorso è possibile solo per un numero limitato di motivi previsti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, come questioni relative all’espressione della volontà dell’imputato, l’erronea qualificazione giuridica o l’illegalità della pena.
Si può contestare la valutazione dei fatti in un ricorso contro il patteggiamento?
No. La sentenza chiarisce che una critica alla motivazione del giudice sulla sussistenza del reato (ad esempio, sull’idoneità degli atti nel tentativo) non è un motivo valido per il ricorso, anche se viene presentata come un’erronea qualificazione giuridica.
Cosa accade se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come stabilito dalla Corte nel caso di specie.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14942 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 5 Num. 14942 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
ORDINANZA t:L,
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME, nato in Georgia il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 26 ottobre 2023 del Tribunale di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
che il Tribunale di Milano ha accolto la richiesta di applicazione della pena formulata da NOME in ordine al reato di tentato furto contestato in rubrica;
che avverso detta sentenza ricorre l’imputato, a mezzo del suo difensore, articolando un unico motivo di censura, con il quale denuncia il vizio di motivazione in ordine alla insussistenza di cause di non punibilità (ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.) e alla ritenuta qualificazione dei fatti contestati in termini di tentati (quanto all’idoneità e all’univocità degli atti posti in essere);
che la prima censura non può essere dedotta atteso che la sentenza del giudice di merito che applichi la pena su richiesta delle parti, escludendo che ricorra una delle ipotesi proscioglimento previste dall’art. 129 cod. proc. pen., può essere oggetto di controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia evidente la sussistenza di una causa di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 39159 del 10/09/2019, Rv. 277102), circostanza neanche allegata dal ricorrente e, comunque, in concreto insussistente;
che anche la seconda censura è indeducibile atteso che l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. ha previsto che la sentenza di patteggiamento è ricorribile per cassazione solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica e all’illegalità della pena, laddove, in concreto, pur formalmente prospettata in termini di erronea qualificazione giuridica, la censura si traduce in un (asserito) vizio motivazionale afferente alla sussistenza del reato;
che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e che tale causa di inammissibilità va dichiarata senza formalità di procedura, ai sensi dell’art. 610 comma 5-bis cod. proc. pen., per cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 gennaio 2024