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Ricorso patteggiamento: limiti e inammissibilità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento. L’imputato contestava la motivazione sulla recidiva, ma la Corte ha ribadito che, in seguito alla riforma del 2017 (art. 448, comma 2-bis, c.p.p.), il ricorso patteggiamento è consentito solo per motivi tassativi, tra i quali non rientra il vizio di motivazione su un elemento circostanziale concordato tra le parti. La decisione conferma la natura di accordo del patteggiamento e la limitata possibilità di impugnazione.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: La Cassazione ne Definisce i Rigidi Limiti

L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione dei procedimenti penali. Tuttavia, una volta raggiunto l’accordo, quali sono le possibilità di contestarlo? Con l’ordinanza n. 14444 del 2024, la Corte di Cassazione torna a ribadire i confini invalicabili del ricorso patteggiamento, chiarendo che non ogni doglianza può aprire le porte del giudizio di legittimità. Questo caso offre un’importante lezione sui limiti dell’impugnazione dopo aver scelto un rito alternativo.

I Fatti di Causa: Dall’Accordo all’Impugnazione

Il caso ha origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Torre Annunziata. L’imputato, d’accordo con il Pubblico Ministero, aveva concordato una pena per i reati di truffa aggravata (art. 640 c.p.) e possesso illecito di segni distintivi (art. 497-ter c.p.).

Nonostante l’accordo, la difesa decideva di presentare ricorso in Cassazione, articolando un unico motivo di censura: un presunto vizio di motivazione da parte del giudice di merito riguardo alla sussistenza della recidiva, un elemento circostanziale che incide sulla determinazione finale della pena.

I Limiti al Ricorso Patteggiamento Secondo la Riforma

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso immediatamente inammissibile, basando la sua decisione sull’interpretazione restrittiva dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta dalla Legge n. 103 del 2017 (la cosiddetta ‘Riforma Orlando’), ha drasticamente limitato i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento.

Secondo la legge, il ricorso patteggiamento è consentito esclusivamente per motivi attinenti a:
1. L’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
2. Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. L’erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. L’illegalità della pena applicata.

La Corte ha evidenziato come la doglianza dell’imputato non rientrasse in nessuna di queste categorie. Contestare la motivazione sulla recidiva, che è un elemento circostanziale oggetto dell’accordo stesso tra le parti, equivale a lamentare un mero vizio motivazionale, escluso dal perimetro di controllo della Cassazione in sede di patteggiamento.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La decisione della Cassazione si fonda su un principio chiaro: il patteggiamento è un accordo processuale. Accettandolo, l’imputato rinuncia a contestare nel merito le accuse e accetta tutti gli elementi che concorrono a formare la pena finale, incluse le circostanze aggravanti come la recidiva. L’accordo, una volta ratificato dal giudice, cristallizza la situazione giuridica.

Consentire un ricorso per un vizio di motivazione su un elemento concordato snaturerebbe l’essenza stessa dell’istituto, trasformandolo in una sorta di giudizio abbreviato ‘mascherato’ e aprendo a contestazioni postume che il rito mira proprio a prevenire. La Corte, pertanto, non entra nel merito della corretta valutazione della recidiva, ma si ferma al dato processuale: il motivo di ricorso non è tra quelli consentiti dalla legge.

Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile senza formalità di procedura, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis c.p.p., e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di quattromila euro.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame è un monito fondamentale per la difesa e per gli imputati che scelgono la via del patteggiamento. La scelta di questo rito alternativo comporta una rinuncia quasi totale al diritto di impugnazione. Le possibilità di ricorso sono eccezionali e limitate a vizi gravi e specifici, che attengono alla legalità della pena o alla formazione della volontà, e non a valutazioni di merito che si presumono accettate con l’accordo. Chi patteggia deve essere consapevole che l’accordo sulla pena è, nella stragrande maggioranza dei casi, definitivo e non più discutibile.

È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale stabilisce che il ricorso è ammesso solo per motivi specifici: problemi nell’espressione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto o illegalità della pena.

Il disaccordo sulla valutazione della recidiva è un motivo valido per impugnare un patteggiamento?
No. Secondo questa ordinanza, un vizio di motivazione relativo alla sussistenza di un elemento circostanziale come la recidiva, che è stato oggetto dell’accordo tra le parti, non rientra tra i motivi tassativi per cui è ammesso il ricorso in Cassazione avverso una sentenza di patteggiamento.

Quali sono le conseguenze se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. Nel caso di specie, la somma è stata fissata in quattromila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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