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Ricorso patteggiamento: limiti e inammissibilità

Un imputato, condannato per coltivazione di stupefacenti tramite patteggiamento, ha presentato ricorso per un presunto errore nella determinazione della pena pecuniaria. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso patteggiamento inammissibile, ribadendo che i motivi di impugnazione sono tassativamente limitati dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. e non includono la contestazione sulla quantificazione della pena.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: i Limiti Tassativi per l’Impugnazione

L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Penale, fornisce un’importante chiarificazione sui confini dell’impugnazione di una sentenza emessa a seguito di patteggiamento. In particolare, la Suprema Corte ha ribadito che il ricorso patteggiamento è ammissibile solo per motivi specificamente elencati dalla legge, escludendo doglianze relative alla mera determinazione della pena pecuniaria. Questo principio, consolidato dalla riforma del 2017, mira a garantire la stabilità delle sentenze concordate tra accusa e difesa, limitando l’accesso al giudizio di legittimità.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un ricorso presentato da un individuo condannato dal Tribunale di Crotone per il reato di illecita coltivazione di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 73 del d.P.R. 309/1990. La condanna era stata definita attraverso il rito speciale dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, comunemente noto come ‘patteggiamento’. L’imputato, tuttavia, decideva di impugnare la sentenza dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando un unico motivo di ricorso: l’erronea applicazione della legge penale e la mancanza di motivazione in relazione alla determinazione della pena pecuniaria.

L’Analisi del Ricorso Patteggiamento e la Decisione della Corte

La questione centrale sottoposta alla Suprema Corte riguardava l’ammissibilità di un ricorso avverso una sentenza di patteggiamento basato esclusivamente sulla contestazione della quantificazione della pena pecuniaria. La Corte ha risolto la questione dichiarando il ricorso manifestamente inammissibile.

I Motivi di Ricorso Ammissibili

La decisione si fonda sull’interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, come modificato dalla Legge n. 103/2017. Questa norma ha introdotto una limitazione significativa ai motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento. I motivi ammessi sono tassativi e riguardano esclusivamente:

1. L’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, se il consenso al patteggiamento è stato viziato).
2. Il difetto di correlazione tra l’accusa contestata e la sentenza emessa.
3. L’erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. L’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

La Decisione di Inammissibilità

La Corte ha osservato che il motivo sollevato dal ricorrente, relativo alla determinazione della pena pecuniaria, non rientra in nessuna delle categorie sopra elencate. La contestazione non verteva sull’illegalità della pena in sé (cioè una pena non prevista dalla legge o applicata al di fuori dei limiti edittali), ma sulla sua quantificazione, aspetto che esula dal perimetro del controllo di legittimità per le sentenze di patteggiamento.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La motivazione della Corte è netta e lineare. Il legislatore, con la riforma del 2017, ha inteso blindare l’accordo raggiunto tra le parti nel patteggiamento, rendendolo difficilmente impugnabile se non per vizi sostanziali e specifici. La logica è quella di deflazionare il carico giudiziario e di dare stabilità a una decisione che è frutto di una scelta processuale volontaria dell’imputato. Contestare la quantificazione della pena, una volta che questa è stata concordata, significherebbe rimettere in discussione il nucleo stesso dell’accordo, vanificando la ratio del rito speciale. Pertanto, il vizio denunciato dal ricorrente è stato ritenuto estraneo ai casi tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., conducendo inevitabilmente alla declaratoria di inammissibilità.

Le Conclusioni

In conclusione, questa ordinanza conferma un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: il patteggiamento è un accordo che, una volta raggiunto, può essere messo in discussione solo per vizi gravi e specificamente individuati dalla legge. La semplice doglianza sulla quantificazione della pena concordata non costituisce un motivo valido per adire la Corte di Cassazione. La decisione comporta, per il ricorrente, non solo la conferma della sentenza impugnata, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, a monito contro l’uso improprio dello strumento del ricorso.

È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. limita i motivi di ricorso solo a specifiche ipotesi, come vizi nella volontà dell’imputato, erronea qualificazione giuridica del fatto, illegalità della pena o difetto di correlazione tra accusa e sentenza.

L’errata determinazione della pena pecuniaria è un motivo valido per ricorrere contro un patteggiamento?
No, secondo la decisione in esame, questo motivo non rientra tra quelli tassativamente previsti dalla legge per l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento e, pertanto, il ricorso basato su tale doglianza è inammissibile.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile?
La parte che ha proposto il ricorso inammissibile viene condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la Corte senza un valido motivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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