Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 5737 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 2 Num. 5737 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a Catania il 22/12/1975 NOME nato in Albania il 06/10/1993
avverso la sentenza del 18/09/2024 del G.i.p. del Tribunale di Rimini visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 18/09/2024, il G.i.p. del Tribunale di Rimini ha applicato, su richiesta dei rispettivi difensori muniti di procura speciale e con il consenso del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a NOME COGNOME e a NOME COGNOME la pena di 3 anni di reclusione ed € 1.000,00 di multa per i reati, commessi in concorso tra loro e unificati dal vincolo della continuazione, di rapina pluriaggravata di cui al capo a) dell’imputazione e di detenzione e porto di una pistola di cui al capo b) dell’imputazione.
Avverso l’indicata sentenza del 18/09/2024 del G.i.p. del Tribunale di Rimini, hanno proposto ricorsi per cassazione, con distinti atti e per il tramite dei propri rispettivi difensori, NOME COGNOME ed NOME COGNOME
Il ricorso di NOME COGNOME, a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 448, comma 2-bis, dello stesso codice, «in ordine al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza».
Il Platania deduce che egli aveva richiesto l’applicazione della pena finale di 2 anni, 10 mesi e 15 giorni di reclusione ed C 1.000,00 di multa (così ridotta, per la scelta del rito, la pena di 4 anni, 3 mesi e 23 giorni di reclusione ed C 1.500,00 di multa), richiesta in ordine alla quale vi era stato il consenso del pubblico ministero, e lamenta che il G.i.p. del Tribunale di Rimini ha invece applicato la pena finale di 3 anni di reclusione ed C 1.000,00 di multa, con il conseguente denunciato difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
dp. Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME è anch’esso affidato a un unico motivo, con il quale il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione degli artt. 81 e 133 cod. pen.
Il COGNOME lamenta che l’aumento di pena detentiva di 3 mesi e 23 giorni di reclusione per la continuazione con il reato di cui al capo b) dell’imputazione «risulta assolutamente eccessivo, trattandosi di reato contravvenzionale che avrebbe dovuto comportare un aumento corrispondente ai minimi di legge» e «auspica pertanto un rideterminazione della pena inflitta».
In base al nuovo comma 2-bis dell’art. 448 cod. proc. pen., inserito dall’art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Ciò rammentato, l’unico motivo del ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato, con la conseguente inammissibilità dello stesso ricorso.
Dall’esame del verbale dell’udienza del 18/09/2024 davanti al G.i.p. del Tribunale di Rimini risulta infatti che i difensori e procuratori speciali degli imputati si erano sì riportati alle proprie richieste di “patteggiamento” (« difensori si riportano alle richieste di patteggiamento in atti»), ma le avevano precisate nel senso che la pena finale che chiedevano fosse applicata ai due imputati era quella di 3 anni di reclusione ed C 1.000,00 di multa («precisando che la pena finale è quella di 3 anni di reclusione ed euro 1.000,00 di multa»).
In ordine a tali richieste, così precisate, il pubblico ministero aveva espresso il proprio consenso («il P.M. presta il consenso»).
Da ciò discende che, con l’applicare agli imputati la pena finale di 3 anni di reclusione ed C 1.000,00 di multa, il G.i.p. del Tribunale di Rimini, diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente, ha disposto l’applicazione della pena che
era stata richiesta dalle parti, con la conseguente manifesta insussistenza del denunciato difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
Quanto all’unico motivo del ricorso di NOME COGNOME, esso non concerne l’illegalità della pena – da intendere come sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico ovvero eccedente, per specie e quantità, il limite legale – ma profili commisurativi della stessa, sicché non rientra tra i menzionati casi per i quali è ammesso il ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento.
La Corte di cassazione ha infatti chiarito che è inammissibile, a norma dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., il ricorso per cassazione che deduca motivi concernenti non l’illegalità della pena, intesa come sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico ovvero eccedente, per specie e quantità, il limite legale, ma profili commisurativi della stessa, discendenti dalla violazione dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ovvero attinenti al bilanciamento delle circostanze del reato o alla misura delle diminuzioni conseguenti alla loro applicazione (Sez. 5, n. 19757 del 16/04/2019, COGNOME, Rv. 276509-01).
Trattandosi di impugnazioni proposte contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti dopo l’entrata in vigore della menzionata novella di cui alla legge n. 103 del 2017, il cui art. 1, comma 62, ha aggiunto all’art. 610 cod. proc. pen. il comma 5-bis, i ricorsi devono essere trattati nelle forme de plano, ai sensi del secondo periodo di quest’ultimo comma.
Ciò vale anche per il ricorso di NOME COGNOME ancorché esso sia stato proposto per un motivo, il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, per il quale è tutt’ora possibile ricorrere per cassazione.
Il Collegio condivide infatti l’interpretazione, che è stata seguita, in particolare, da Sez. 5, n. 28578 del 06/03/2018, COGNOME, Rv. 273323-01, secondo la quale la norma che è dettata nel secondo periodo del comma 5-bis dell’art. 610 cod. proc. pen. si pone in rapporto di specialità rispetto a quella che è prevista nel primo periodo dello stesso comma 5-bis la quale dispone la trattazione senza formalità di procedura (e, quindi, de plano) dei soli ricorsi che rientrano nelle categorie di inammissibilità indicate in tale primo periodo – e l’assenza invece di qualsiasi distinzione, nel secondo periodo del comma 5-bis, tra categorie di inammissibilità dei ricorsi contro le sentenze di “patteggiamento”, conduce logicamente alla conseguenza dell’applicazione della procedura de plano in tutti i casi in cui il ricorso avverso la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. si riveli inammissibile.
I ricorsi devono, pertanto, essere dichiarati inammissibili, con la conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di € 3.000,00 ciascuno in favore cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 30/01/2025.