Ricorso Patteggiamento: Quando la Cassazione lo Dichiara Inammissibile
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un istituto fondamentale del nostro ordinamento processuale penale. Consente di definire il processo in modo più rapido, ma comporta anche una rinuncia a determinate garanzie. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 9576/2024) chiarisce in modo netto i limiti entro cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento, soprattutto quando si contesta la motivazione del giudice. Questo caso offre spunti cruciali per comprendere la natura dell’accordo e le sue conseguenze processuali.
I Fatti del Caso
Un imputato, dopo aver concordato una pena ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale per il reato di cui all’art. 186 del Codice della Strada (guida in stato di ebbrezza con rifiuto di sottoporsi all’alcoltest), decideva di presentare ricorso in Cassazione. Il motivo della doglianza era specifico: a suo dire, il giudice di primo grado non aveva adeguatamente motivato le ragioni per cui non aveva applicato una causa di non punibilità, come previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale, che impone il proscioglimento immediato qualora ne ricorrano le condizioni evidenti.
I Limiti del Ricorso Patteggiamento secondo la Legge
La difesa sosteneva, in sostanza, che il giudice avesse l’obbligo di spiegare nel dettaglio perché non sussistessero le condizioni per un’assoluzione, anche a fronte di un accordo tra accusa e difesa. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su un principio consolidato e rafforzato dalla normativa vigente.
La legge (art. 448, comma 2-bis, c.p.p.) elenca in modo tassativo i motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere impugnata. Questi includono:
* Difetti nell’espressione della volontà dell’imputato.
* Mancata correlazione tra la richiesta e la sentenza.
* Errata qualificazione giuridica del fatto.
* Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
La censura mossa dall’imputato, relativa alla carenza di motivazione sull’art. 129 c.p.p., non rientra in nessuna di queste categorie. Di conseguenza, il ricorso non poteva nemmeno essere esaminato nel merito.
Le Motivazioni
La Corte Suprema ha colto l’occasione per ribadire la logica che governa il patteggiamento e l’obbligo di motivazione del giudice. Il principio cardine è che la motivazione deve essere adeguata alla natura dell’atto. Poiché il patteggiamento nasce da un accordo con cui l’imputato di fatto rinuncia a contestare l’accusa, dispensando il PM dall’onere della prova, anche gli obblighi motivazionali del giudice si atteggiano diversamente.
Gli Ermellini hanno chiarito che un obbligo di motivazione specifica sulla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p. sorge solo se dagli atti processuali o dalle deduzioni delle parti emergano elementi concreti che facciano dubitare della colpevolezza e suggeriscano una possibile causa di proscioglimento. In assenza di tali elementi, è sufficiente una motivazione implicita, che consiste nella semplice pronuncia della sentenza di patteggiamento. Tale pronuncia sottintende che il giudice ha compiuto la verifica richiesta dalla legge e non ha ravvisato cause evidenti per un’assoluzione.
Nel caso di specie, il giudice di Monza aveva correttamente dato atto che, sulla base della documentazione disponibile (in particolare, l’annotazione di intervento della Polizia Locale), non emergevano elementi per fondare un’ipotesi di proscioglimento.
Conclusioni
L’ordinanza in esame è un’importante conferma della natura negoziale del patteggiamento. Chi sceglie questa via processuale accetta il ‘pacchetto’ concordato con la pubblica accusa, inclusa una motivazione della sentenza che può essere sintetica e concisa. Non è possibile, in un secondo momento, lamentare una presunta insufficienza motivazionale su aspetti che sono il presupposto stesso dell’accordo, ossia la rinuncia a contestare l’accusa. La decisione della Cassazione stabilisce che le vie di impugnazione sono strette e ben definite dalla legge, escludendo doglianze generiche sulla motivazione che non rientrino nei casi tassativamente previsti. L’imputato che patteggia non può, in sostanza, ‘giocare di rimessa’, sperando di trovare vizi in un percorso che ha egli stesso scelto di intraprendere.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per mancata motivazione sulla non applicazione di una causa di proscioglimento?
No, questo motivo di ricorso non rientra nell’elenco tassativo previsto dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale e, pertanto, un ricorso basato su tale censura è inammissibile.
In una sentenza di patteggiamento, il giudice è sempre obbligato a motivare in modo approfondito perché non proscioglie l’imputato?
No. Una motivazione specifica è richiesta solo se dagli atti emergano elementi concreti che suggeriscano una possibile causa di non punibilità. In caso contrario, è sufficiente una motivazione implicita, insita nella stessa adozione della sentenza concordata.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
L’imputato ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9576 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9576 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
ACCORDINO NOME NOME NOME MONZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/10/2023 del GIP TRIBUNALE di MONZA
p ato avviso alle partu l
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
COGNOME NOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, recante applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. in ordine al reato di cui all’art. 186, co. 7 e co. 2 sexies d.lgs. 285/92, deducendo carenza di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per indeducibilítà della descritta censura, ch non rientra fra quelle consentite dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge n. 103 del 23 giugno 2017, in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardante motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giurid del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio che l’obbligo della motivazione non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiarnento: lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica, tra l’altro, che il giudizio nega circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui al richiamato art. 129 cod. proc. pe deve essere accompagNOME da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di proscioglimento ex art. 129 (Cass., Sez. U., n. 5777 del 27 marzo 1992, Di Benedetto; Id., Sez. U., n. 10372 del 27 dicembre 1995, COGNOME). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza successiva.
Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguard precipuamente la qualificazione giuridica del fatto e la congruità della pena, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni Unite, ha affermato che la motivazione può ben essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile. D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita rinuncia ad avvalersi del facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal medesimo accettato.
Nel caso di specie il giudice dà conto che, alla luce degli atti, emergenti dall’annotazione di intervento della Polizia Locale di Monza, non si evincevano elementi su cui fondare ipotesi di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro quattromila a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2024
Il Consigliere estensore
Il P esidente