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Ricorso patteggiamento: limiti e inammissibilità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 9576/2024, dichiara inammissibile un ricorso patteggiamento. L’imputato contestava la mancata motivazione sul proscioglimento ex art. 129 c.p.p., ma la Corte ha ribadito che tale censura non rientra tra i motivi di ricorso ammessi dall’art. 448, co. 2-bis c.p.p., che sono tassativi.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Quando la Cassazione lo Dichiara Inammissibile

Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un istituto fondamentale del nostro ordinamento processuale penale. Consente di definire il processo in modo più rapido, ma comporta anche una rinuncia a determinate garanzie. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 9576/2024) chiarisce in modo netto i limiti entro cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento, soprattutto quando si contesta la motivazione del giudice. Questo caso offre spunti cruciali per comprendere la natura dell’accordo e le sue conseguenze processuali.

I Fatti del Caso

Un imputato, dopo aver concordato una pena ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale per il reato di cui all’art. 186 del Codice della Strada (guida in stato di ebbrezza con rifiuto di sottoporsi all’alcoltest), decideva di presentare ricorso in Cassazione. Il motivo della doglianza era specifico: a suo dire, il giudice di primo grado non aveva adeguatamente motivato le ragioni per cui non aveva applicato una causa di non punibilità, come previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale, che impone il proscioglimento immediato qualora ne ricorrano le condizioni evidenti.

I Limiti del Ricorso Patteggiamento secondo la Legge

La difesa sosteneva, in sostanza, che il giudice avesse l’obbligo di spiegare nel dettaglio perché non sussistessero le condizioni per un’assoluzione, anche a fronte di un accordo tra accusa e difesa. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su un principio consolidato e rafforzato dalla normativa vigente.

La legge (art. 448, comma 2-bis, c.p.p.) elenca in modo tassativo i motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere impugnata. Questi includono:

* Difetti nell’espressione della volontà dell’imputato.
* Mancata correlazione tra la richiesta e la sentenza.
* Errata qualificazione giuridica del fatto.
* Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

La censura mossa dall’imputato, relativa alla carenza di motivazione sull’art. 129 c.p.p., non rientra in nessuna di queste categorie. Di conseguenza, il ricorso non poteva nemmeno essere esaminato nel merito.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha colto l’occasione per ribadire la logica che governa il patteggiamento e l’obbligo di motivazione del giudice. Il principio cardine è che la motivazione deve essere adeguata alla natura dell’atto. Poiché il patteggiamento nasce da un accordo con cui l’imputato di fatto rinuncia a contestare l’accusa, dispensando il PM dall’onere della prova, anche gli obblighi motivazionali del giudice si atteggiano diversamente.

Gli Ermellini hanno chiarito che un obbligo di motivazione specifica sulla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p. sorge solo se dagli atti processuali o dalle deduzioni delle parti emergano elementi concreti che facciano dubitare della colpevolezza e suggeriscano una possibile causa di proscioglimento. In assenza di tali elementi, è sufficiente una motivazione implicita, che consiste nella semplice pronuncia della sentenza di patteggiamento. Tale pronuncia sottintende che il giudice ha compiuto la verifica richiesta dalla legge e non ha ravvisato cause evidenti per un’assoluzione.

Nel caso di specie, il giudice di Monza aveva correttamente dato atto che, sulla base della documentazione disponibile (in particolare, l’annotazione di intervento della Polizia Locale), non emergevano elementi per fondare un’ipotesi di proscioglimento.

Conclusioni

L’ordinanza in esame è un’importante conferma della natura negoziale del patteggiamento. Chi sceglie questa via processuale accetta il ‘pacchetto’ concordato con la pubblica accusa, inclusa una motivazione della sentenza che può essere sintetica e concisa. Non è possibile, in un secondo momento, lamentare una presunta insufficienza motivazionale su aspetti che sono il presupposto stesso dell’accordo, ossia la rinuncia a contestare l’accusa. La decisione della Cassazione stabilisce che le vie di impugnazione sono strette e ben definite dalla legge, escludendo doglianze generiche sulla motivazione che non rientrino nei casi tassativamente previsti. L’imputato che patteggia non può, in sostanza, ‘giocare di rimessa’, sperando di trovare vizi in un percorso che ha egli stesso scelto di intraprendere.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per mancata motivazione sulla non applicazione di una causa di proscioglimento?
No, questo motivo di ricorso non rientra nell’elenco tassativo previsto dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale e, pertanto, un ricorso basato su tale censura è inammissibile.

In una sentenza di patteggiamento, il giudice è sempre obbligato a motivare in modo approfondito perché non proscioglie l’imputato?
No. Una motivazione specifica è richiesta solo se dagli atti emergano elementi concreti che suggeriscano una possibile causa di non punibilità. In caso contrario, è sufficiente una motivazione implicita, insita nella stessa adozione della sentenza concordata.

Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
L’imputato ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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