Ricorso Patteggiamento: Quando è Ammesso e Perché la Cassazione lo Dichiara Inammissibile
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un istituto fondamentale del nostro sistema processuale penale che consente di definire il processo in modo rapido. Tuttavia, la scelta di questo rito alternativo comporta conseguenze significative, specialmente per quanto riguarda la possibilità di impugnare la sentenza. Un’ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui rigidi limiti del ricorso patteggiamento, chiarendo i motivi per cui può essere dichiarato inammissibile.
I Fatti del Caso
Tre persone, condannate dal GIP del Tribunale di Monza per reati legati agli stupefacenti (art. 73 d.P.R. 309/1990), avevano concordato con il Pubblico Ministero l’applicazione di pene detentive e pecuniarie significative. Le pene variavano da 4 anni e 2 mesi a 5 anni di reclusione, oltre a multe comprese tra 15.000 e 24.000 euro. Successivamente, gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione avverso tale sentenza.
I Limiti Normativi del Ricorso Patteggiamento
La questione centrale della decisione ruota attorno all’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta nel 2017, ha drasticamente ristretto le possibilità di impugnare una sentenza di patteggiamento. La legge stabilisce che il ricorso patteggiamento è proponibile esclusivamente per i seguenti motivi:
1. Vizi della volontà: se l’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare è stata viziata.
2. Mancata correlazione: se c’è un difetto di corrispondenza tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza emessa dal giudice.
3. Errata qualificazione giuridica: se il fatto è stato qualificato giuridicamente in modo errato.
4. Illegalità della pena: se la pena o la misura di sicurezza applicata è illegale.
Qualsiasi motivo di ricorso che non rientri in questo elenco tassativo è destinato a essere dichiarato inammissibile.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte di Cassazione, nell’analizzare i ricorsi, ha rilevato che i motivi addotti dagli imputati non rientravano in nessuna delle categorie previste dall’art. 448, comma 2-bis. La Suprema Corte ha inoltre affrontato e respinto l’argomentazione relativa alla presunta non conoscenza della lingua italiana da parte degli imputati. Secondo i giudici, questa circostanza è superata dalla “scelta consapevole del rito”. In altre parole, nel momento in cui un imputato, assistito da un difensore, sceglie la via del patteggiamento, si presume che lo faccia con piena consapevolezza delle conseguenze, inclusa la quasi-definitività della sentenza.
Di conseguenza, la Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili. Questa decisione ha comportato non solo la conferma della sentenza di condanna, but anche la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro ciascuno in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver proposto un’impugnazione inammissibile.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio cruciale: la scelta del patteggiamento è una decisione processuale di grande importanza, che preclude quasi ogni possibilità di ripensamento. Chi accede a questo rito deve essere pienamente consapevole che la sentenza che ne deriva è appellabile solo in casi eccezionali e ben definiti. L’assistenza di un legale esperto è fondamentale per valutare attentamente i pro e i contro di tale scelta, poiché un ricorso patteggiamento proposto per motivi generici o non consentiti dalla legge verrà inevitabilmente respinto, con un ulteriore aggravio di spese per il condannato.
È sempre possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per un numero limitato e specifico di motivi previsti dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Quali sono i motivi validi per un ricorso patteggiamento?
I motivi validi sono esclusivamente quelli che riguardano l’espressione della volontà dell’imputato, il difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, l’erronea qualificazione giuridica del fatto e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
La non conoscenza della lingua italiana può giustificare un ricorso contro il patteggiamento?
No. Secondo la Corte, la non conoscenza della lingua italiana è un’argomentazione superata dalla scelta consapevole del rito del patteggiamento, che si presume avvenga con piena comprensione delle conseguenze.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8249 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8249 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/07/2023 del GIP TRIBUNALE di MONZA
U Clato avviso alle partij udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Con sentenza del 4 luglio 2023 il Tribunale di Monza ha applicato a NOME, NOME COGNOME e NOME, su richiesta ai sensi dell’art. 444 c proc. pen., la pena rispettivamente di anni 5 di reclusione ed euro 24.000,0 multa a NOME, anni 4 mesi 2 di reclusione ed euro 15.000,00 di multa a NOME E anni 5 di reclusione ed euro 20.000,00 a NOME NOME, per il reato di cui al 73, commi 1 e 4 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Ai sensi del comma 2 bis dell’art. 448 cod. proc. pen., come introdott dalla legge n. 103 del 2017 in vigore dal 3 agosto 2017, il ricorso avvers sentenza di patteggiamento è proponibile esclusivamente per motivi attinent all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’i della pena o della misura di sicurezza.
Pertanto, non sono proponibili i ricorsi presentati, siccome al di fuori dei sopra indicati. Peraltro puramente asserita appare la non conoscenza della ling italiana del resto superata dalla scelta consapevole del rito. Dunque, i r sono stati presentati per motivi diversi da quelli di cui al comma 2 bis del 448 cod. proc. pen. e pertanto è inammissibile.
Con condanna quindi dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e d euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de Ammende.
Così deciso in Roma il 15 dicembre 2023.