Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 33827 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 2 Num. 33827 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME, nato in Tunisia il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/07/2025 del G.u.p. del Tribunale di Cremona
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 07/07/2025, il G.u.p. del Tribunale di Cremona applicava, su richiesta del difensore e con il consenso del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., ad NOME COGNOME la pena di tre anni e quattro mesi di reclusione ed € 1.800,00 di multa per i reati, unificati dal vincolo della continuazione, di lesioni personali pluriaggravate in concorso di cui al capo 5) dell’imputazione, getto pericoloso di cose in concorso di cui al capo 6) dell’imputazione, minaccia aggravata ai danni di NOME COGNOME NOME di cui al capo 9) dell’imputazione, rapina pluriaggravata in concorso ai danni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME di cui al capo 10) dell’imputazione, rapina aggravata ai danni di NOME COGNOME di cui al capo 17) dell’imputazione e lesioni personali pluriaggravate di cui al capo 18) dell’imputazione.
Avverso l’indicata sentenza 07/07/2025 del G.u.p. del Tribunale di Cremona, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore AVV_NOTAIO, NOME COGNOME, affidato a un unico motivo, con
il quale lamenta, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione.
Dopo avere richiamato due risalenti pronunce della Corte di cassazione sul tema della motivazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta, il ricorrente deduce che il G.u.p. del Tribunale di Cremona non avrebbe adeguatamente assolto il proprio obbligo motivazionale in quanto non avrebbe «dato conto del proprio convincimento con argomentazioni adeguate ed esaurienti». Dopo avere esposto che «l’argomentazione giurisdizionale deve poggiare su contenuti minimi basati su di un coerente e ragionato esame delle risultanze processuali che non lasci nessuno spazio a qualsivoglia criterio improntato a mera sommarietà», il COGNOME afferma che l’intervenuto “patteggiamento” «non avrebbe dovuto esimere il Giudice dall’obbligo di esprimere motivatamente, al di là delle formule di stile, le proprie valutazioni in ordine ai contenuti della richiesta, così come indicati nell’art. 444, comma II C.P.P.».
In base al nuovo comma 2-bis dell’art. 448 cod. proc. pen., inserito dall’art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Ciò rammentato, si deve rilevare che l’unico motivo di ricorso, con il quale è dedotto, in modo del tutto generico e in assenza di qualsiasi effettivo confronto con il contenuto della sentenza impugnata, il vizio di mancanza e di manifesta illogicità della motivazione, non rientra tra i suddetti casi per i quali è ammesso il ricorso per cassazione avverso la sentenza di “patteggiamento”.
Trattandosi di impugnazione proposta contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti dopo l’entrata in vigore della menzionata novella di cui alla legge n. 103 del 2017, il cui art. 1, comma 62, ha aggiunto all’art. 610 cod. proc. pen. il comma 5-bis, il ricorso deve essere trattato nelle forme de plano, ai sensi del secondo periodo di quest’ultimo comma.
Per la ragione sopra indicata, il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 26/09/2025.