Ricorso Patteggiamento: i Limiti all’Impugnazione secondo la Cassazione
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato i rigidi paletti che limitano la possibilità di presentare un ricorso patteggiamento. Questa decisione chiarisce come, una volta accettato il rito speciale, le vie per impugnare la sentenza diventino estremamente strette, specialmente quando si tenta di rimettere in discussione aspetti già coperti dall’accordo tra accusa e difesa. Analizziamo insieme i contorni di questa pronuncia per comprendere meglio le regole del gioco processuale.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (il cosiddetto patteggiamento). Tale sentenza includeva anche la confisca di una somma di denaro trovata nella sua abitazione, ritenuta sproporzionata rispetto ai suoi redditi. L’imputato basava il suo ricorso su tre motivi principali:
1. La genericità delle motivazioni sulla confisca.
2. L’inidoneità delle giustificazioni fornite dal suocero riguardo la provenienza del denaro.
3. La violazione di legge per mancata verifica da parte del giudice di possibili cause di proscioglimento, come previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale.
In sostanza, il ricorrente tentava di scardinare la decisione sia sul piano patrimoniale (la confisca) sia sul piano della responsabilità penale, nonostante avesse acconsentito al patteggiamento.
L’Analisi della Corte sul Ricorso Patteggiamento
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, seguendo un percorso logico netto e basato sulla normativa vigente. I primi due motivi, relativi alla confisca e alla provenienza del denaro, sono stati liquidati come generici e manifestamente infondati. Secondo la Corte, il giudice di merito aveva adeguatamente motivato la sua decisione, ritenendo le dichiarazioni del suocero insufficienti a giustificare la legittima provenienza della somma.
Il punto cruciale della decisione, tuttavia, riguarda il terzo motivo. La Suprema Corte ha ribadito che, in tema di ricorso patteggiamento, l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla riforma del 2017, limita drasticamente i motivi di impugnazione. Questa norma elenca tassativamente le uniche violazioni di legge che possono essere fatte valere, escludendo tutto il resto.
Le Motivazioni
Il ragionamento della Corte si fonda su una stretta interpretazione del dato normativo, volto a dare stabilità alle sentenze di patteggiamento e a deflazionare il carico della Cassazione.
### Genericità dei Primi Motivi
La Corte ha ritenuto che le censure del ricorrente sulla confisca non facessero emergere vizi logici o giuridici evidenti nella sentenza impugnata. Le argomentazioni sono state considerate un tentativo di ottenere un nuovo giudizio di fatto, attività preclusa in sede di legittimità. Le giustificazioni sulla provenienza del denaro erano state già valutate e ritenute inadeguate, e il ricorso non offriva elementi nuovi capaci di invalidare tale valutazione.
### Il Divieto dell’Art. 448, Comma 2-bis, c.p.p. per il Ricorso Patteggiamento
Questo è il cuore della decisione. La norma in questione stabilisce che la sentenza di patteggiamento può essere impugnata solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza. La richiesta di verificare l’esistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. non rientra in questo elenco. Pertanto, un simile motivo è, per legge, inammissibile. La scelta del patteggiamento implica una rinuncia a far valere determinate difese in cambio di uno sconto di pena, e tale scelta non può essere aggirata in sede di impugnazione se non nei casi espressamente previsti.
Conclusioni
L’ordinanza in commento consolida un principio fondamentale: il patteggiamento è una scelta processuale che comporta conseguenze definitive. L’impugnazione della relativa sentenza non è una terza via per rimettere in discussione il merito della vicenda, ma è un rimedio eccezionale, limitato a specifici e gravi vizi procedurali e di diritto. La Corte di Cassazione, dichiarando l’inammissibilità del ricorso e condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria, invia un messaggio chiaro: il ricorso patteggiamento deve essere fondato su motivi solidi e rientranti nel perimetro tracciato dal legislatore, altrimenti è destinato a fallire.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale limita la possibilità di ricorso alle sole ipotesi di violazione di legge tassativamente indicate, come quelle relative all’espressione della volontà dell’imputato o alla qualificazione giuridica del fatto.
Si può contestare la mancata verifica di una causa di proscioglimento in un ricorso contro il patteggiamento?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la mancata verifica dell’insussistenza di cause di proscioglimento (ex art. 129 c.p.p.) non rientra tra i motivi per cui è consentito il ricorso avverso una sentenza di patteggiamento, in quanto non è un’ipotesi prevista dall’art. 448, comma 2-bis c.p.p.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (nel caso specifico, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, a meno che non si dimostri di aver proposto il ricorso senza colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 44583 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 44583 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a BISCEGLIE il 15/10/1983
avverso la sentenza del 03/04/2024 del GIUDICE COGNOME PRELIMINARE di TRANI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza in epigrafe; esaminati gli atti e il provvedimento impugnato;
ritenuto che i primi due motivi di ricorso sono inammissibili in quanto generici manifestamente infondati, avendo la sentenza impugnata adeguatamente argomentato, in termini immuni da vizi logici o giuridici, in merito alla sussistenza dei presupposti normativi la confisca per sproporzione del denaro in sequestro e, soprattutto, in merito alla inidoneità del dichiarazioni rese dal suocero del ricorrente a giustificare la provenienza del denaro rinvenut presso la sua abitazione;
ritenuto che il terzo motivo è parimenti inammissibile perché non consentito ai sensi dell’art 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., dovendosi, al riguardo, ribadire che in tema di patteggiamento, è inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza applicativa della pena con cui si deduca il vizio di violazione di legge per la mancata verifica dell’insussistenza cause di proscioglimento ex art. 129 cod., atteso che l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017 n. 103, limita l’impugnabilità della pronuncia alle so ipotesi di violazione di legge in esso tassativamente indicate (Sez. 6, n. 1032 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278337);
ritenuto che all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso 1’11 ottobre 2024.