Ricorso Patteggiamento: i Limiti Imposti dalla Cassazione
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione dei procedimenti penali. Tuttavia, la scelta di questo rito alternativo comporta significative limitazioni sulle possibilità di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini invalicabili del ricorso patteggiamento, dichiarando inammissibili le doglianze che non rientrano nei motivi tassativamente previsti dalla legge.
Il caso in esame: un ricorso contro la pena concordata
Due soggetti, condannati in primo grado dal GIP del Tribunale di Lodi a una pena di 4 anni di reclusione e 18.000 euro di multa per reati legati agli stupefacenti, decidevano di presentare ricorso per cassazione. La pena era stata concordata tra difesa e accusa attraverso il rito del patteggiamento.
I motivi del ricorso erano distinti:
* Un ricorrente lamentava la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione ai criteri di commisurazione della pena (art. 133 c.p.).
* L’altro, oltre a sollevare la medesima censura, proponeva un secondo ricorso lamentando l’erronea qualificazione giuridica del fatto.
La Decisione della Corte: i paletti invalicabili del Ricorso Patteggiamento
La Corte di Cassazione, con una decisione netta, ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili. La pronuncia si fonda sull’interpretazione rigorosa dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, che disciplina specificamente le impugnazioni contro le sentenze di patteggiamento.
La Suprema Corte ha stabilito che i ricorsi erano destinati al fallimento fin dall’inizio, poiché i motivi addotti non rientravano nel novero di quelli consentiti. Di conseguenza, i ricorrenti sono stati anche condannati al pagamento delle spese processuali.
Le Motivazioni
La Corte ha spiegato che, a seguito delle riforme legislative, il ricorso patteggiamento è esperibile solo per un numero chiuso di motivi. Questi includono:
1. Mancanza di un’effettiva espressione della volontà dell’imputato.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Nel caso di specie, le lamentele relative alla violazione dell’art. 133 c.p. (che riguarda i criteri che il giudice usa per determinare la pena, come la gravità del reato e la capacità a delinquere del reo) sono state considerate “indeducibili”, ovvero non proponibili in questa sede. La logica è semplice: se le parti si accordano sulla pena, non possono poi contestarne la congruità in Cassazione.
Anche il motivo relativo all’erronea qualificazione giuridica è stato ritenuto manifestamente infondato. La Corte ha ribadito un principio consolidato: questo tipo di censura, in un ricorso patteggiamento, è ammissibile solo quando la qualificazione data dal giudice sia “palesemente eccentrica” e immediatamente riconoscibile come errata dal testo del capo di imputazione. Non è possibile, invece, sollevare questioni che richiederebbero una valutazione complessa e non evidente degli atti.
Le Conclusioni
Questa ordinanza è un importante monito per chi intende impugnare una sentenza di patteggiamento. La scelta di questo rito processuale implica una rinuncia a far valere gran parte delle possibili doglianze. Il ricorso in Cassazione non può diventare uno strumento per rimettere in discussione l’accordo raggiunto tra le parti, salvo che non si verta in una delle specifiche e gravi ipotesi di illegalità previste dalla norma. La decisione conferma un orientamento giurisprudenziale volto a preservare l’efficienza e la stabilità delle sentenze emesse a seguito di un accordo, limitando il controllo di legittimità a vizi macroscopici e immediatamente percepibili.
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per un numero limitato di motivi espressamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, come problemi legati al consenso dell’imputato, l’illegalità della pena o un’erronea qualificazione giuridica palesemente evidente.
La valutazione della congruità della pena può essere un motivo di ricorso contro un patteggiamento?
No. Secondo la Corte, le censure basate sulla violazione dell’art. 133 c.p., che disciplina i criteri per la commisurazione della pena, sono inammissibili perché la scelta del patteggiamento implica l’accettazione della pena concordata tra le parti.
Quando si può contestare l’erronea qualificazione giuridica del fatto in un ricorso patteggiamento?
Si può contestare solo quando la qualificazione giuridica data dal giudice risulti, con “indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione”. Non sono ammesse contestazioni che richiedano complesse valutazioni non evidenti dal testo dell’atto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 15376 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 15376 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato il 10/09/1989
NOME nato il 25/12/1995
avverso la sentenza del 12/12/2024 del GIP RAGIONE_SOCIALE di LODI
•zlato avviso alle parti;ì
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza indicata in epigrafe, il G.I.P. del Tribunale d Lodi, in applicazione della pena su richiesta delle parti, ha condannatc NOME e NOME alla pena di anni 4 di reclusionE ed euro 18.000,00 di multa per i reati di cui agli artt. 99, 81, comma 2, 110 cod.pen., 73, comma 1, D.P.R. 9 ottobre 1990, n.309.
NOME propone due ricorsi avverso la sentenza del Tribt nale. Con il primo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art.133 cod.pen. Con il secondo lamenta l’erronea qualificazionf giuridica del fatto. NOME propone ricorso avverso la sentenza del Tribunale lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione a l’art. 133 cod. pen.
I ricorsi sono inammissibili per cause che possono dichiararsi senza formalità ai sensi dell’art. 610 co.5-bis cod.proc.pen. in quanto propost avverso sentenza applicativa di pena (art. 444 cod.proc.pen.), richiesto dopo il 3.08.2017. Il primo ricorso di COGNOME ed il ricorso di COGNOME sonc proposti per motivi indeducibili ai sensi dell’art. 448, comma 2 bis cod.pn c.pen. in quanto non riguardanti motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la ;entenz all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della per a o de misura di sicurezza. Il motivo proposto da COGNOME con il secondo ricorso è manifestamente infondato. Con specifico riferimento al tema del ri :orso, va tenuto presente che in considerazione del rito prescelto la pos ;ibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione i lel fatto contenuto in sentenza è limitata ai casi in cui tale qualificazione ri ;ulti, c indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al conto nuto del capo di imputazione, dovendo in particolare escludersi l’ammissibilità dell’impugnazione che richiami, come nel caso in esame, errori valui ativi non evidenti dal testo (Sez. 5, n. 33145 del 08/10/2020, Cari, Rv. 279 42; Sez. 3, n. 23150 del 17/4/2019, COGNOME; Sez. 1, n. 15553 del 2C /3/2018, COGNOME, Rv. 272619).
A norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di cc lpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 dE I 13. 06. 2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del proco ,dimento
consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misur, i indica in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento d( Ile s processuali e della somma di euro quattromila ciascuno in favore de la Cass
delle ammende.
Così deciso in Roma, in data 2 aprile 2025.