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Ricorso patteggiamento: limiti e inammissibilità

Un imputato ha presentato ricorso contro una sentenza di patteggiamento per un reato minore legato agli stupefacenti, chiedendo l’assoluzione e contestando l’adeguatezza della pena. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che, a seguito della riforma del 2017, il ricorso patteggiamento è consentito solo per un numero limitato di motivi specifici, tra i quali non rientrano quelli sollevati. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile? La Cassazione Chiarisce i Limiti

L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più rapide per la definizione del processo penale. Tuttavia, la possibilità di contestare la sentenza che ne deriva è soggetta a limiti ben precisi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce ancora una volta i confini del ricorso patteggiamento, dichiarandolo inammissibile quando i motivi addotti non rientrano nel novero di quelli tassativamente previsti dalla legge.

I Fatti del Caso: L’Appello Contro la Sentenza di Patteggiamento

Il caso in esame ha origine da un ricorso presentato da un imputato contro una sentenza di patteggiamento emessa dal GIP del Tribunale di Pescara. La condanna riguardava un reato previsto dall’articolo 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti, ossia un’ipotesi di lieve entità.

L’imputato ha basato il suo ricorso su due principali argomentazioni:
1. La violazione di legge per la mancata valutazione di una possibile assoluzione ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale.
2. La mancanza o l’apparenza della motivazione riguardo alla congruità della pena concordata tra le parti.

In sostanza, il ricorrente sosteneva che il giudice avrebbe dovuto proscioglierlo e che, in ogni caso, la pena applicata era ingiusta e immotivata.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Ricorso Patteggiamento

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su una lettura rigorosa dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto con la riforma Orlando (Legge n. 103/2017). Questa norma ha significativamente ristretto le possibilità di impugnare una sentenza di patteggiamento.

L’Applicazione dell’Art. 448, Comma 2-bis, c.p.p.

Secondo la disposizione citata, il ricorso patteggiamento in Cassazione può essere proposto esclusivamente per i seguenti motivi:
* Problemi legati all’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, un consenso viziato).
* Difetto di correlazione tra l’accusa contestata e la sentenza emessa.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto contestato.
* Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.

La Corte ha evidenziato come i motivi sollevati dal ricorrente non rientrassero in nessuna di queste categorie.

Le Motivazioni: Perché i Motivi del Ricorrente Erano Inammissibili

La Cassazione ha spiegato che la richiesta di un proscioglimento nel merito, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., e la critica sulla congruità della pena esulano completamente dall’ambito di controllo consentito dalla legge sul ricorso patteggiamento. La scelta di accedere a questo rito speciale comporta, infatti, una rinuncia a contestare l’accertamento di responsabilità e la valutazione sull’adeguatezza della sanzione, che è frutto di un accordo tra difesa e accusa, successivamente ratificato dal giudice. La riforma del 2017 ha voluto proprio cristallizzare questo principio, per evitare ricorsi dilatori e deflazionare il carico della Cassazione.

La Ristretta Area del Sindacato sul Ricorso Patteggiamento

La decisione sottolinea che il legislatore ha inteso limitare il sindacato della Corte di Cassazione ai soli vizi macroscopici e di stretta legalità. Non è più possibile, quindi, utilizzare l’impugnazione per rimettere in discussione l’opportunità della scelta processuale fatta dall’imputato o per contestare valutazioni discrezionali come la congruità della pena, che si presume essere stata accettata con la richiesta di patteggiamento.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale per chiunque opti per il patteggiamento: si tratta di una scelta processuale con conseguenze definitive sulla possibilità di impugnazione. È essenziale che l’imputato e il suo difensore valutino attentamente tutti gli aspetti prima di accordarsi sulla pena, poiché gli spazi per un successivo ripensamento tramite ricorso sono estremamente limitati. La declaratoria di inammissibilità comporta, inoltre, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, rendendo l’impugnazione infondata non solo inutile ma anche economicamente svantaggiosa.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per chiedere l’assoluzione ai sensi dell’art. 129 c.p.p.?
No, secondo l’ordinanza, questo motivo non rientra tra quelli tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, per i quali è ammesso il ricorso contro una sentenza di patteggiamento.

Si può contestare la congruità della pena concordata in un patteggiamento tramite ricorso in Cassazione?
No, la contestazione sulla congruità della pena non è uno dei motivi ammessi per impugnare una sentenza di patteggiamento, come stabilito dalla riforma del 2017 (L. n. 103/2017).

Quali sono le conseguenze se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso, quattromila euro) in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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