Ricorso Patteggiamento: i Limiti Imposti dalla Legge e il Caso della Confisca
Il ricorso patteggiamento rappresenta uno strumento processuale con contorni ben definiti, specialmente a seguito delle riforme legislative. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i limiti stringenti per l’impugnazione di una sentenza emessa con questo rito alternativo, chiarendo al contempo i presupposti per la legittima confisca di somme di denaro di provenienza incerta. Analizziamo insieme la decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.
I Fatti del Caso
Un imputato, dopo aver concordato una pena tramite patteggiamento davanti al Tribunale di Genova per un reato legato agli stupefacenti, ha presentato ricorso in Cassazione. I motivi del ricorso erano due: in primo luogo, lamentava una carenza di motivazione riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche; in secondo luogo, contestava un vizio di motivazione nella decisione di confiscare il denaro che gli era stato sequestrato.
La Decisione della Corte di Cassazione sul ricorso patteggiamento
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile in ogni sua parte. La decisione si fonda su due principi cardine del nostro ordinamento processuale penale, consolidati sia dalla legge che dalla giurisprudenza.
Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte ha sottolineato come la riforma del 2017 (Legge n. 103/2017) abbia ristretto drasticamente le ragioni per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento. Per il secondo motivo, ha ritenuto la confisca pienamente legittima, in quanto il reato contestato rientra tra quelli per cui è prevista la confisca allargata e l’imputato non era stato in grado di fornire una giustificazione plausibile sulla provenienza del denaro.
Le Motivazioni: Analisi dei Punti Salienti
La decisione della Corte si articola su due filoni argomentativi chiari e distinti, che meritano un’analisi approfondita.
Limiti al Ricorso contro la Sentenza di Patteggiamento
Il cuore della decisione risiede nella delimitazione dei motivi di ricorso avverso la sentenza di patteggiamento. La Corte ha ricordato che, a seguito della riforma del 2017, l’imputato e il pubblico ministero possono ricorrere in Cassazione “solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena e della misura di sicurezza”.
La contestazione sulla concessione o meno delle attenuanti generiche non rientra in nessuna di queste categorie. Una volta che le parti si accordano sulla pena e il giudice ratifica tale accordo, non è più possibile sollevare questioni relative all’entità della pena stessa, a meno che essa non sia illegale (cioè contraria a norme imperative o determinata in modo errato). La valutazione sulle attenuanti è parte integrante dell’accordo sulla pena, e accettandolo, l’imputato rinuncia a contestarla su questo specifico punto.
La Legittimità della Confisca del Denaro
Il secondo motivo di ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha spiegato che la confisca era stata disposta ai sensi dell’art. 240-bis del codice penale (c.d. confisca allargata o per sproporzione). Recentemente, anche il reato di spaccio di lieve entità (art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990) è stato inserito nel novero dei delitti che consentono tale misura.
La confisca è legittima quando sono presenti due condizioni:
1. Una sproporzione tra i beni posseduti e il reddito dichiarato o l’attività economica svolta.
2. La mancanza di una giustificazione credibile sulla provenienza dei beni.
Nel caso specifico, l’imputato, con precedenti per droga, senza fissa dimora né occupazione stabile, era stato trovato in possesso di una somma di denaro subito dopo aver ceduto una dose di stupefacente. Aveva tentato di giustificare il possesso del denaro sostenendo di svolgere l’attività di commerciante ambulante, ma senza fornire alcuna prova o dettaglio preciso. In questo contesto, il giudice ha correttamente ritenuto che la somma fosse, con ragionevole certezza, il provento dell’attività di spaccio, legittimandone la confisca.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni. La prima è che la scelta del patteggiamento è una decisione strategica che comporta una rinuncia a far valere determinate contestazioni in un futuro grado di giudizio. È fondamentale che la difesa valuti attentamente tutti gli aspetti dell’accordo, inclusa la qualificazione del fatto e il calcolo della pena, poiché gli spazi per un’impugnazione successiva sono estremamente ridotti. La seconda lezione riguarda la confisca: il possesso di denaro, soprattutto in contesti che suggeriscono un’attività illecita, richiede una giustificazione solida e credibile. In assenza di essa, e in presenza di reati presupposto, il rischio di vedersi sottrarre tali somme è concreto e legittimo secondo la legge.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche?
No, a seguito della riforma del 2017 (Legge n. 103/2017), il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non rientra più tra i motivi per cui è consentito il ricorso per Cassazione contro una sentenza di patteggiamento, poiché tale valutazione è considerata parte integrante dell’accordo sulla pena.
In quali casi è possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
Il ricorso è ammesso solo per motivi specifici: problemi nell’espressione della volontà dell’imputato, mancanza di corrispondenza tra la richiesta delle parti e la decisione del giudice, erronea qualificazione giuridica del reato, oppure illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Quando può essere disposta la confisca di denaro in caso di condanna per spaccio di lieve entità?
La confisca del denaro può essere disposta quando, oltre alla condanna per un reato che la prevede (come lo spaccio di lieve entità), vi sia una sproporzione tra la somma posseduta e il reddito dell’imputato, e quest’ultimo non riesca a fornire una giustificazione credibile e plausibile sulla sua lecita provenienza.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22970 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22970 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 15/03/2002
avverso la sentenza del 29/01/2025 del TRIBUNALE di GENOVA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
1. NOME COGNOME ricorre, a mezzo del proprio difensore avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale gli è stata applicata la pena richiesta ex art. 444 cod. proc. pen., articolando due motivi di ricorso: a. carenza di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen.; b. vizio di motivazione in relazione alla disposta confisca del denaro sequestrato.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
2.11 ricorso inammissibile.
2.1. Ed invero, quanto al primo motivo lo stesso non era proponibile in quanto, a decorrere dal 3 agosto 2017, data di entrata in vigore della legge 23.6.2017 n. 103, successivi alla quale sono sia la richiesta di patteggiamento che la relativa impugnativa (cfr. art. 1, co. 51, della I. 23.6.2017 n. 103) il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena ex artt. 444 e ss. cod. proc. pen. “solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pen e della misura dì sicurezza”.
Sin dagli albori dell’istituto di cui agli artt. 444 e ss. cod. proc. pen. , ques Corte di legittimità ha chiarito che, una volta che l’accordo sia stato ratificato dal giudice, non è più consentito alle parti prospettare questioni e sollevare censure con riferimento (come nella specie) all’applicazione delle circostanze ed alla entità della pena, che non siano illegali: anche entro tale ambito, invero, l’obbligo di motivazione deve ritenersi assolto con la semplice affermazione dell’effettuata verifica e positiva valutazione dei termini dell’accordo intervenuto fra le parti (Sez. 5, Sentenza n. 5210 del 28/10/1999 dep. 2000, Verdi, Rv. 215467). E, ancora di recente, pur prima della novella di cui alla I. 103/2017, era stato ribadito che non potesse proporsi ricorso per cassazione per violazione di legge avverso una sentenza di patteggiannento, sotto il profilo dell’erronea concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, laddove non sussistessero palesi illegalità della pena concordata e in quanto vi sia stata ratifica dell’accordo sanzionatorio tra le parti, anche in ragione della natura semplificata propria della sua motivazione (Sez. 6, Sentenza n. 42837 del 14/5/2013, COGNOME, Rv. 257146).
Va chiarito, infine, che, per qualificare illegale la pena non basta eccepire che il giudice non abbia correttamente esplicato i criteri valutativi che lo hanno indotto
ad applicare la pena richiesta, ma occorre che il risultato finale del calcolo non risulti conforme a legge (Sez. 6, n. 18385 del 19/02/2004, Obiapuna, Rv. 228047).
Nel caso in esame, la Corte territoriale ha assolto correttamente all’onere motivazionale imposto dall’art. 240-bis cod. pen., attesa la mancanza di giustificazioni plausibili circa le ragioni del possesso della somma di denaro sequestrata, nonché la sussistenza di elementi sintomatici della sua provenienza illecita, avendo l’imputato appena effettuato una cessione di stupefacenti ed essendo stato trovato in possesso di una somma non esigua, specie se rapportata alle sue condizioni di vita, ritenuta con ragionevole certezza provento dell’attività di spaccio.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
N. 9079/2025 GLYPH
R.G.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle am-
mende.
Così deciso il 10/06/2025