Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile? L’Analisi della Cassazione
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione dei procedimenti penali. Tuttavia, una volta raggiunto l’accordo e ratificato dal giudice, le possibilità di impugnazione sono estremamente limitate. Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione torna a ribadire i confini invalicabili del ricorso patteggiamento, chiarendo perché la contestazione sul mancato riconoscimento di un’attenuante non può trovare spazio in sede di legittimità.
I Fatti del Caso: Il Patteggiamento per Tentato Furto
Il caso trae origine da una sentenza del Tribunale di Bologna, con la quale un imputato aveva patteggiato la pena per il reato di tentato furto. Non soddisfatto dell’esito, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione. Il motivo del contendere era uno solo: l’erronea qualificazione giuridica del fatto a causa della mancata applicazione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, prevista dall’articolo 62, numero 4, del codice penale.
Secondo la difesa, il giudice di merito avrebbe dovuto riconoscere questa attenuante, con un conseguente effetto sulla determinazione finale della pena. L’imputato, pur avendo acconsentito alla pena proposta, ha tentato di rimettere in discussione la valutazione del giudice attraverso il ricorso.
La Decisione della Cassazione e i Limiti del Ricorso Patteggiamento
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente inammissibile. La decisione si fonda su un’applicazione rigorosa della normativa introdotta con la cosiddetta Riforma Orlando (legge n. 103 del 2017), che ha modificato l’articolo 448 del codice di procedura penale.
La Normativa di Riferimento: L’art. 448, comma 2-bis, c.p.p.
Il fulcro della decisione risiede nel comma 2-bis dell’articolo 448 c.p.p. Questa norma stabilisce che il ricorso per Cassazione contro una sentenza di patteggiamento è consentito esclusivamente per motivi attinenti a:
1.  L’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, un consenso viziato);
2.  Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza;
3.  L’erronea qualificazione giuridica del fatto;
4.  L’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Si tratta di un elenco tassativo, che non ammette interpretazioni estensive. Ogni altro motivo di doglianza è escluso.
Perché la critica all’assenza di un’attenuante non è motivo valido
La Corte ha spiegato che la lamentela relativa al mancato riconoscimento di una circostanza attenuante non rientra in nessuna delle categorie ammesse. Non si tratta di un’ipotesi di ‘pena illegale’, poiché la pena concordata e applicata rientrava nei limiti edittali previsti dalla legge per il reato contestato. La critica dell’imputato, infatti, non verteva sulla legalità della sanzione in sé, ma sulla valutazione di merito del giudice che ha portato a quella specifica quantificazione, escludendo l’attenuante.
In sostanza, l’imputato, accettando il patteggiamento, ha implicitamente accettato anche la qualificazione giuridica del fatto e tutte le valutazioni del giudice sulle circostanze, rinunciando a contestarle in un momento successivo.
Le motivazioni
La Suprema Corte ha motivato la propria decisione di inammissibilità evidenziando che il ricorrente, pur avendo manifestato la volontà di accedere al rito alternativo e di concordare la pena, ha successivamente tentato di rimettere in discussione il merito della valutazione del giudice. Questo approccio è in palese contrasto con la natura stessa del patteggiamento, che è un accordo processuale basato sulla rinuncia delle parti a contestare l’accertamento del fatto. La censura sulla mancata applicazione di un’attenuante, che non è stata ritenuta sussistente neanche dalla parte che ha poi formulato la richiesta di pena, costituisce una critica di merito che esula completamente dai ristretti limiti di impugnabilità previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La Corte ha quindi ribadito un principio consolidato, citando numerosa giurisprudenza conforme, secondo cui il ricorso patteggiamento non può essere utilizzato come un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda.
Le conclusioni
In conclusione, questa ordinanza rafforza il principio di stabilità delle sentenze di patteggiamento. Chi sceglie questa via processuale deve essere consapevole che le possibilità di impugnazione sono eccezionali e limitate a vizi procedurali gravi o a palesi illegalità, non a riesami delle valutazioni del giudice. La mancata concessione di un’attenuante è una questione di merito che si cristallizza con l’accordo sulla pena. La conseguenza di un ricorso presentato al di fuori di questi stretti binari è, come nel caso di specie, una declaratoria di inammissibilità con condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
 
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per il mancato riconoscimento di una circostanza attenuante?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il mancato riconoscimento di una circostanza attenuante è una questione di merito e non rientra tra i motivi tassativi per cui è ammesso il ricorso contro una sentenza di patteggiamento, come elencati nell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p.
Quali sono i motivi per cui si può fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
Il ricorso è ammesso solo per motivi relativi all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Cosa succede se il ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in denaro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35564 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7   Num. 35564  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/06/2025 del TRIBUNALE di BOLOGNA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Con la sentenza indicata in epigrafe, il Tribunale di Bologna ha applicato a NOME ex art. 444 cod. proc. pen. la pena per il reato di tentato furto.
Avverso la sentenza nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso fondato su un motivo, deducente l’erronea qualificazione giuridica per la ritenuta
insussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen.
Il ricorso è inammissibile per plurimi profili.
Trattandosi di sentenza che ha ratificato l’accordo proposto successivamente all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 50, I. n. 103 del 2017, trova applicazione il comma 2-bis dell’art. 448 cod. proc. pen. che limita il ricorso per Cassazione avverso la sentenza di c.d. «patteggiamento» ai soli casi in esso previsti («motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza»).
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso in quanto, oltre a non dedurre una illegalità della pena, che illegale non è, non articola alcuno dei motivi di cui innanzi, sostanzialmente criticando la sentenza per il mancato riconoscimento di una circostanza attenuante che, peraltro non è stata ritenuta sussistenze dalla stessa parte che ha manifestato la volontà circa l’applicazione della pena in merito a cui si è formato l’accordo (quanto ai limiti di impungnabilità delle sentenze ex art. 444 cod. proc. pen., ex plurimis: Sez. F, n. 28742 del 25/08/2020, COGNOME, Rv. 279761 – 01; Sez. 6, n. 1032 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278337 – 01; Sez. 2, n. 4727 dell’11/01/2018, COGNOME, Rv. 272014 – 01, e, ancora più di recente, Sez. 4, n. 21036 del 05/04/2023, COGNOME, in motivazione; Sez. 4, n. 21050 del 05/04/2023, COGNOME, in motivazione, e Sez. 4, n. 21053 del 05/04/2023, COGNOME, in motivazione).
All’inammissibilità del ricorso, nella specie dichiarata senza formalità ex art. 610, comma 5, cod. proc. pen., consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30 settembre 2025
Il Presidente