Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37499 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 5 Num. 37499 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NOCI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/05/2024 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di BARI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Il G.u.p. del Tribunale di Bari, con la sentenza emessa in data 7 maggio 2024, applicava a NOME COGNOME la pena concordata di anni due di reclusione in relazione al delitto di rissa aggravata ai sensi dell’art. 588, comma 2, cod. pen., nonché per violenza privata e resistenza a pubblico ufficiale e per violazione dell’art. 75, commi 1 e 2, d.lgs. 159 del 2011, reati riuniti dal vincolo della continuazione, ritenuto più grave il delitto di rissa, aumentata la pena di mesi otto di reclusione per la contestata recidiva.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di unico motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il motivo deduce violazione di legge penale e processuale penale in relazione agli artt. 99 cod. pen. e 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. nonché vizio di motivazione, in quanto l’aumento di pena difetta della indicazione della tipologia
di recidiva ritenuta, cosicché non sarebbe consentita al ricorrente la , ./erifica della correttezza della qualificazione giuridica e del calcolo della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con l’impugnata sentenza, pronunciata ai sensi dell’art. 444 e ss. cod. proc. pen., è stata applicata la pena indicata al ricorrente.
Il ricorso va dichiarato inammissibile, giacché proposto al di fuori dei casi previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., come introdotto dalla legge n. 103 del 2017, che ha stabilito che il ricorso avverso la sentenza di patteggiamento è proponibile solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Infatti, va considerato che questa Corte, già prima dell’introduzione (con l’art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103) dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., aveva affermato che, in caso di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., l’accordo intervenuto esonera l’accusa dall’onere della prova e comporta che la sentenza che recepisce l’accordo fra le parti sia da considerare sufficientemente motivata con una succinta descrizione del fatto (ben deducibile dal capo d’imputazione, come nel caso in esame), con l’affermazione della correttezza della qualificazione giuridica di esso, con il richiamo all’art. 129 cod. proc. pen. per escludere la ricorrenza di alcuna delle ipotesi ivi previste, con la verifica della congruità della pena patteggiata ai fini e nei limiti di cui all’art. 2 Cost. (Sez. 4, n. 34494 del 13/07/2006, P.G. in proc. Koumya, Rv. 234824), come accaduto nel caso in esame.
La dedotta erroneità della qualificazione giuridica non si confronta con la motivazione della sentenza che evidenzia come la recidiva sia stata ritenuta dal G.u.p. così come ‘contestata’, e nell’imputazione la contestazione della stessa era specificata come ‘specifica infraquinquennale’.
In sostanza il motivo di doglianza non è consentito, in quanto la motivazione risulta assolutamente congrua e rispondente alla imputazione che già in sé delinea la corretta qualificazione giuridica della recidiva, consentendo al ricorrente il controllo che lamenta infondatamente impossibile.
D’altro canto, in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2bis, cod. proc. pen., l’erronea qualificazione giuridica del fatto – nel caso di specie della recidiva — contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, configurabile quando tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e
senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, sicché è inammissibile l’impugnazione che denurici, in modo aspecifico e non autosufficiente, come è nel caso in esame, una violazione di legge non immediatamente evincibile dal tenore dei capi di imputazione e dalla motivazione della sentenza (Sez. 4, n. 13749 del 23/03/2022, Gamal, Rv. 283023 – 01; mass. Conf. N. 33145 del 2020 Rv. 279842 – 01, N. 15553 del 2018 Rv. 272619 – 01, N. 3108 del 2018 Rv. 272252 – 01, N. 25617 del 2020 Rv. 279573 01, N. 14377 del 2021 Rv. 281116 – 01). Il che nel caso in esame non si verifica.
Ne consegue, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, senza formalità di procedura, ai sensi dell’art. 610, comma 5 -bis, cod. proc. pen., e che il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di quattromila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/09/2024