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Ricorso patteggiamento: limiti all’impugnazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso patteggiamento proposto contro una sentenza per reati di droga. L’ordinanza chiarisce che la contestazione sulla quantificazione della pena, basata sull’art. 133 c.p., non rientra tra i motivi tassativi di impugnazione previsti dall’art. 448, co. 2-bis c.p.p., ribadendo la stabilità degli accordi di pena.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile l’Appello in Cassazione?

L’ordinanza n. 18754 del 2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui limiti dell’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. La decisione sottolinea come il ricorso patteggiamento non possa essere utilizzato per contestare l’adeguatezza della pena concordata tra le parti, a meno che questa non sia palesemente illegale. Analizziamo insieme questa pronuncia per comprenderne la portata e le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di applicazione della pena su richiesta (patteggiamento), emessa dal Tribunale di Savona per un reato previsto dall’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/90, relativo a fatti di lieve entità in materia di stupefacenti.

L’imputato lamentava la violazione dell’art. 133 del codice penale, sostenendo che il giudice di merito non avesse valutato adeguatamente la gravità del reato ai fini della determinazione della pena. In sostanza, il ricorrente riteneva la pena concordata e applicata eccessiva rispetto alla reale entità del fatto commesso.

La Decisione della Corte e il ricorso patteggiamento

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno richiamato la specifica disciplina che regola l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento, contenuta nell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.

Questa norma, introdotta dalla c.d. Riforma Orlando (L. 103/2017), elenca in modo tassativo i motivi per cui l’imputato e il pubblico ministero possono presentare ricorso in Cassazione. Tali motivi sono:
1. Difetti nell’espressione della volontà dell’imputato.
2. Mancata correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza.

La Corte ha rilevato che le doglianze del ricorrente, focalizzate esclusivamente sul trattamento sanzionatorio e sulla sua presunta sproporzione, non rientravano in nessuna delle categorie ammesse.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della motivazione risiede nella distinzione tra “illegalità” della pena e “incongruità” della stessa. La Cassazione, richiamando una sua precedente e consolidata giurisprudenza (Sez. 5, n. 19757 del 16/04/2019), ha specificato che una pena è “illegale” solo quando non è prevista dall’ordinamento giuridico per quel tipo di reato oppure quando, per specie o quantità, eccede i limiti massimi stabiliti dalla legge.

Al contrario, le censure che attengono alla commisurazione della pena, ossia alla valutazione discrezionale che il giudice compie basandosi sui parametri dell’art. 133 c.p. (gravità del reato, capacità a delinquere del reo), non configurano un’ipotesi di illegalità. Lo stesso vale per le questioni relative al bilanciamento delle circostanze attenuanti e aggravanti.

Poiché il ricorso si concentrava proprio su questi aspetti, che rientrano nella valutazione concordata tra le parti e recepita dal giudice, esso è stato giudicato al di fuori del perimetro di ammissibilità fissato dalla legge. Accedendo al patteggiamento, l’imputato accetta la pena proposta e rinuncia a contestarne l’entità, purché essa rimanga entro i confini della legalità.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale: la scelta del patteggiamento comporta una significativa limitazione del diritto di impugnazione. La ratio della norma è quella di garantire stabilità e rapidità a questo rito alternativo, evitando che diventi una via per rimettere in discussione nel merito l’accordo raggiunto tra accusa e difesa.

Per gli operatori del diritto e per gli imputati, la lezione è chiara: la decisione di patteggiare deve essere ponderata attentamente, con la piena consapevolezza che, una volta omologato l’accordo, gli spazi per contestare la pena applicata sono estremamente ridotti e circoscritti a vizi specifici e gravi, come l’illegalità formale della sanzione. La semplice percezione di una pena troppo severa, seppur legittima, non costituisce un valido motivo per un ricorso patteggiamento in Cassazione.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per contestare la quantità della pena?
No, secondo la Corte di Cassazione non è possibile. L’appello contro una sentenza di patteggiamento è ammissibile solo per motivi specifici, tra cui non rientra la valutazione della congruità della pena concordata, purché essa sia nei limiti legali.

Quali sono i motivi per cui si può fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
Il ricorso è consentito solo per motivi riguardanti l’espressione della volontà dell’imputato, il difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, l’erronea qualificazione giuridica del fatto e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Cosa si intende per “illegalità della pena” ai fini dell’impugnazione di un patteggiamento?
Per “illegalità della pena” si intende una sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico o che eccede, per specie e quantità, i limiti massimi stabiliti dalla legge. Non riguarda la valutazione discrezionale del giudice sulla gravità del reato ai sensi dell’art. 133 c.p.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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