Ricorso Patteggiamento: la Cassazione fissa i paletti sulla motivazione
Quando è possibile contestare una sentenza di patteggiamento? Con la recente ordinanza n. 6505/2024, la Corte di Cassazione torna a chiarire i limiti del ricorso patteggiamento, specificando come l’accordo tra imputato e pubblico ministero influenzi profondamente l’obbligo di motivazione del giudice. La decisione sottolinea che non ogni doglianza è ammissibile, specialmente se riguarda la valutazione dei fatti già accettati dalle parti.
I Fatti del Caso
La vicenda ha origine da una sentenza del Tribunale di Taranto, emessa a seguito di un accordo di “patteggiamento” ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale. Un imputato aveva concordato una pena di sei mesi di reclusione e 1.200 euro di multa per il reato di spaccio di lieve entità (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990). La pena detentiva era stata poi convertita in un’ulteriore multa di 900 euro.
Nonostante l’accordo, l’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la sentenza del Tribunale fosse viziata da una mancanza di motivazione riguardo alla qualificazione giuridica del fatto come reato di lieve entità. In sostanza, si contestava al giudice di non aver spiegato a sufficienza perché il fatto rientrasse in quella specifica fattispecie di reato.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Secondo i giudici supremi, l’impugnazione proposta dall’imputato non rientrava nei casi eccezionali previsti dalla legge per contestare una sentenza di patteggiamento.
Le Motivazioni: i confini del ricorso patteggiamento
Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta dalla riforma del 2017, stabilisce che una sentenza di patteggiamento può essere impugnata solo per motivi molto specifici, tra cui:
1. Un vizio nell’espressione della volontà dell’imputato.
2. Una mancata correlazione tra la richiesta e la sentenza.
3. Un’erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. L’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Sebbene il ricorrente avesse formalmente invocato l’erronea qualificazione giuridica, la Corte ha ritenuto il motivo infondato. La Cassazione ha spiegato che, in un procedimento di patteggiamento, l’obbligo di motivazione del giudice è significativamente attenuato. Il consenso prestato dall’imputato all’accordo sulla pena rende superfluo e persino contraddittorio un approfondito scrutinio sui fatti e sulla colpevolezza.
Il giudice del patteggiamento non deve redigere una motivazione complessa come in un processo ordinario, ma è sufficiente che dia atto di aver verificato la correttezza della qualificazione giuridica e la congruità della pena concordata. La semplice affermazione di aver effettuato tale verifica è considerata motivazione sufficiente. L’intento del legislatore, come ribadito dalla Corte, è quello di valorizzare il consenso delle parti e di evitare che il patteggiamento venga usato come un’anticamera per un’ulteriore discussione nel merito in Cassazione.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale consolidato: impugnare una sentenza di patteggiamento è un’operazione complessa e dai margini ristretti. Non è possibile rimettere in discussione la valutazione dei fatti o la ricostruzione della vicenda se si è già prestato il proprio consenso a un accordo sulla pena. Il ricorso patteggiamento è ammesso solo per vizi “strutturali” della sentenza, come un errore di diritto nella qualificazione del reato o l’applicazione di una pena non prevista dalla legge, ma non per una presunta carenza di motivazione sulla valutazione di merito.
Chi decide di percorrere la strada del patteggiamento deve essere consapevole che la possibilità di impugnare la decisione finale è limitata. Un ricorso presentato al di fuori dei casi consentiti, come quello in esame, viene dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, che in questo caso è stata fissata in 3.000 euro.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No. L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale limita l’impugnazione a motivi specifici, come vizi della volontà, erronea qualificazione giuridica del fatto o illegalità della pena. Non è possibile contestare la valutazione dei fatti su cui si è formato l’accordo.
Perché il ricorso per mancanza di motivazione è stato respinto?
Perché in una sentenza di patteggiamento, l’obbligo di motivazione del giudice è assolto con la semplice affermazione di aver verificato e valutato positivamente i termini dell’accordo tra le parti. Il consenso dell’imputato rende superfluo un’analisi approfondita sulla colpevolezza.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6505 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6505 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MESAGNE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/06/2023 del TRIBUNALE di TARANTO
dat -e- awisg-a4e-leer -S;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVAZIONE
Con sentenza del 20 giugno 2023 il Tribunale di Taranto ha applicato a NOME NOME, su richiesta ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., la pena d mesi sei di reclusione ed euro milleduecento di multa, altresì convertendo la pena detentiva in ulteriori euro novecento di multa ai sensi dell’art. 56-quater della legge 24 novembre 1981, n. 698, per il reato di cui all’art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Avverso tale sentenza è stato proposto ricorso per cassazione deducendo la mancanza di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Il ricorso (da trattarsi ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen.) è inammissibile.
Deve invero rammentarsi che, secondo quanto previsto dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. – disposizione introdotta con la legge 23 giugno 2017, n. 103 -, il Pubblico ministero e l’imputato possono ricorrere per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatt e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Ciò posto, la qualificazione giuridica di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 risulta corretta ed anche motivata tenuto conto della tipologia di sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod.proc.pen. secondo cui l’obbligo di motivazione del giudice è assolto con la semplice affermazione dell’effettuata verifica e positiva valutazione dei termini dell’accordo intervenut tra le parti e l’eventuale vizio di motivazione non è più censurabile con il ricors per cassazione, nel chiaro intento del legislatore della novella di evitare ogni scrutinio della motivazione sulla colpevolezza valorizzando, per converso, il consenso prestato dall’imputato, rispetto al quale si apprezza come superfluo e contraddittorio un motivo di impugnazione sullo svolgimento dei fatti (ex multis, ad es. Sez. 2, n. 4727 del 11/01/2018, Oboroceanu, Rv. 272014).
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 12 gennaio 2024
Il Consigli COGNOME ensore COGNOME
Il Presidente