Ricorso Patteggiamento Inammissibile: Quando la Cassazione Chiude la Porta
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta una delle vie più comuni per la definizione dei procedimenti penali. Tuttavia, una volta raggiunto l’accordo e ottenuta la sentenza, le possibilità di impugnazione sono estremamente limitate. Con la recente ordinanza n. 4177/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito con forza quando un ricorso patteggiamento inammissibile si configura, specialmente se si contesta la qualificazione giuridica del reato. Analizziamo questa importante pronuncia.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Biella. L’imputato aveva concordato una pena per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti, previsto dall’articolo 73, commi 1 e 4, del d.P.R. 309/1990. Nonostante l’accordo, il difensore dell’imputato ha successivamente proposto ricorso per cassazione.
I Motivi del Ricorso
Il ricorso si fondava su due principali motivi:
1. Erronea qualificazione giuridica dei fatti: Secondo la difesa, il fatto avrebbe dovuto essere inquadrato nella fattispecie di lieve entità, di cui al comma 5 dello stesso articolo 73. Questa diversa qualificazione avrebbe comportato un trattamento sanzionatorio notevolmente più favorevole.
2. Illegittimità della confisca: Di conseguenza alla richiesta riqualificazione, si contestava anche la legittimità della confisca del denaro sequestrato, ritenuta una misura sproporzionata per un fatto di lieve entità.
In sostanza, la difesa tentava di ottenere in sede di legittimità una rivalutazione della gravità del fatto, già oggetto dell’accordo con il Pubblico Ministero.
La Decisione della Corte: un Ricorso Patteggiamento Inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso integralmente inammissibile. La decisione si basa su una lettura rigorosa dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla cosiddetta Riforma Orlando (legge n. 103/2017). Questa norma elenca tassativamente i motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere impugnata.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte ha spiegato che, sebbene l’erronea qualificazione giuridica del fatto sia uno dei motivi ammessi per il ricorso, questa possibilità è circoscritta a casi eccezionali. L’errore deve essere palese, manifesto e immediatamente percepibile dalla semplice lettura del capo d’imputazione, senza che sia necessaria alcuna indagine o rivalutazione del materiale probatorio.
Nel caso specifico, la richiesta della difesa di qualificare il fatto come di ‘lieve entità’ implicava necessariamente un’analisi nel merito delle circostanze concrete: le modalità dell’azione, la quantità e qualità della sostanza, i mezzi utilizzati. Questo tipo di valutazione, sottolinea la Corte, è una ‘rilettura del fatto’ preclusa in sede di legittimità e, a maggior ragione, nel contesto di un’impugnazione contro una sentenza di patteggiamento.
La giurisprudenza costante, citata anche nell’ordinanza (Sez. 5, n. 33145/2020), ha consolidato il principio secondo cui la verifica sull’errore di qualificazione deve basarsi esclusivamente sul capo di imputazione e sulla sentenza, e l’errore deve essere ‘palesemente eccentrico’. Qualsiasi doglianza che richieda un’analisi valutativa è destinata all’inammissibilità.
Anche la questione sulla confisca è stata giudicata inammissibile, in quanto strettamente dipendente dalla richiesta di riqualificazione del reato, che è stata respinta in radice.
Conclusioni
L’ordinanza in commento consolida un principio fondamentale: l’accordo di patteggiamento cristallizza la valutazione dei fatti tra le parti e il giudice. Il successivo ricorso non può diventare uno strumento per rimettere in discussione il merito della vicenda. La dichiarazione di ricorso patteggiamento inammissibile serve a garantire la stabilità delle sentenze concordate e a prevenire impugnazioni dilatorie o fondate su una riconsiderazione tardiva degli elementi fattuali. Per gli operatori del diritto, ciò significa che l’accordo sulla qualificazione giuridica del fatto al momento del patteggiamento deve essere ponderato con estrema attenzione, poiché le possibilità di correggerlo in seguito sono, per legge e giurisprudenza, quasi nulle.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento contestando la qualificazione giuridica del reato?
Sì, ma solo in casi molto limitati. Secondo l’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., l’erronea qualificazione giuridica deve essere palese ed immediatamente evidente dal capo di imputazione, senza la necessità di una nuova valutazione dei fatti.
Cosa intende la Cassazione quando parla di qualificazione ‘palesemente eccentrica’?
Si riferisce a un errore di diritto macroscopico e indiscutibile che emerge direttamente dagli atti, senza bisogno di interpretare o rivalutare le prove. Un tentativo di proporre una diversa lettura dei fatti, come chiedere di considerare lo spaccio ‘di lieve entità’, non rientra in questa categoria e richiede una valutazione di merito non consentita.
Qual è stata la conseguenza della proposizione di un ricorso per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Di conseguenza, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4177 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4177 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/07/2023 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di BIELLA
[dato avviso alle udita la la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Il difensore di COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Biella di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. per il reato ex art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309 del 1990; il ricorrente ha dedotto l’erronea qualificazione giuridica dei fatti, in particolare assumendo che i fatti avrebbero dovuto essere qualificati ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, e l’illegittimità della misura di sicurezza della confisca del denaro in sequestro ai sensi dell’art. 240 cod. pen.
Il primo motivo è inammissibile.
Ai sensi del comma 2-bis dell’art. 448 cod. proc. pen., come introdotto dalla legge n. 103 del 2017 in vigore dal 3 agosto 2017, il ricorso avverso la sentenza di patteggiamento è proponibile esclusivamente per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiest e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pe o della misura di sicurezza.
Il ricorso è inammissibile perché contrario al costante orientamento della giurisprudenza per cui, in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 1, comma 50 della legge 23 giugno 2017 n. 103, l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata ai casi in cui tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione, con conseguente inammissibilità dell’impugnazione che denunci errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dalla contestazione. In motivazione la Corte ha precisato che la verifica sull’osservanza della previsione contenuta nell’art. 444, comma 2, cod. proc. pen. deve essere condotta esclusivamente sulla base dei capi di imputazione, della succinta motivazione della sentenza e dei motivi dedotti nel ricorso (Sez. 5, n. 33145 del 08/10/2020, Cari, Rv. 279842 – 01).
Il motivo, invece, si limita ad una rilettura del fatto, inammissibile in sede d legittimità, tenuto conto dei limiti di cui all’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.
In ordine alla contestata confisca, essa è stata disposta a norma dell’art. 85bis d.P.R. n. 309 del 1990, ed al riguardo alcuna specifica questione è stata sollevata, il ricorrente essendosi limitato ad insistere per l’applicazione dell fattispecie minore di cui al comma 5 e della conseguente disciplina ablatoria all’epoca esistente.
Dunque, il ricorso è stato proposto per motivi diversi da quelli di cui al comma 2-bis dell’art. 448 cod. proc. pen. ed è pertanto inammissibile; l’inammissibilità va dichiarata ex art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 12 gennaio 2024.