Ricorso Patteggiamento Inammissibile: Quando l’Appello è Escluso per Legge
L’istituto del patteggiamento rappresenta una delle vie più comuni per la definizione accelerata dei processi penali. Tuttavia, la scelta di questo rito comporta delle significative limitazioni sul diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce in modo netto le conseguenze di un ricorso patteggiamento inammissibile, evidenziando i ristretti confini imposti dalla cosiddetta Riforma Orlando e le sanzioni economiche per chi tenta di superarli.
I Fatti del Caso: un Patteggiamento per Stupefacenti
Due soggetti avevano definito la loro posizione processuale attraverso un accordo con il Pubblico Ministero, ovvero un’applicazione della pena su richiesta (patteggiamento) per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti (eroina, cocaina e hashish) in quantità non modiche. Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lecco, verificata la correttezza dell’accordo e l’assenza di cause di proscioglimento immediato, aveva emesso la relativa sentenza.
I Motivi dell’Appello e la Decisione della Cassazione
Nonostante l’accordo raggiunto, i due imputati hanno deciso di presentare ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. A loro dire, la sentenza del GIP sarebbe stata fondata su un iter motivazionale ‘del tutto apparente’ in merito all’affermazione della loro responsabilità penale.
La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato immediatamente il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su una ragione puramente processuale: i motivi addotti dai ricorrenti non rientrano tra quelli per cui la legge consente di impugnare una sentenza di patteggiamento.
Limiti al Ricorso Patteggiamento Inammissibile: L’Impatto della Riforma Orlando
Il punto centrale della decisione risiede nell’applicazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, così come modificato dalla Riforma Orlando (L. 103/2017). Questa norma, applicabile a tutte le richieste di patteggiamento formulate dopo il 3 agosto 2017, limita drasticamente le ragioni per cui si può ricorrere in Cassazione. I motivi consentiti sono esclusivamente:
1.  L’errata qualificazione giuridica del fatto;
2.  L’illegalità della pena applicata;
3.  La presenza di vizi nel consenso espresso dalle parti.
Qualsiasi altro motivo, inclusa la presunta carenza di motivazione sulla colpevolezza, è escluso. Poiché i ricorrenti hanno contestato proprio quest’ultimo aspetto, il loro ricorso è risultato inevitabilmente inammissibile.
Il Ruolo del Giudice nel Patteggiamento
La Corte ha inoltre ribadito che, nel contesto del patteggiamento, il giudice non è tenuto a redigere una motivazione complessa sulla responsabilità dell’imputato. Il suo compito è ratificare l’accordo tra le parti, dopo aver verificato che non sussistano le condizioni per un proscioglimento immediato (art. 129 c.p.p.). Una motivazione sintetica, che dia atto di questa verifica, è considerata pienamente sufficiente, data la natura stessa del rito che si fonda sulla volontaria rinuncia delle parti a contestare le prove.
Le Motivazioni
Le motivazioni della Corte di Cassazione sono state chiare e lineari. In primo luogo, i profili di doglianza sollevati dai ricorrenti sono stati giudicati generici, infondati e, soprattutto, esclusi dai motivi di impugnazione ammessi dall’art. 448 comma 2-bis c.p.p. La Corte ha sottolineato che, essendo la richiesta di patteggiamento successiva all’entrata in vigore della Riforma Orlando, la nuova e più restrittiva disciplina era pienamente applicabile ratione temporis. La scelta di contestare la motivazione sulla responsabilità, anziché uno dei tre motivi tassativamente previsti, ha reso il ricorso patteggiamento inammissibile in radice, senza possibilità di un esame nel merito. La Corte ha inoltre confermato la consolidata giurisprudenza secondo cui la motivazione della sentenza di patteggiamento può essere sintetica, essendo sufficiente che il giudice escluda la sussistenza di cause di proscioglimento immediato.
Le Conclusioni
La pronuncia in esame offre un importante monito pratico: impugnare una sentenza di patteggiamento è un’azione legale dai confini molto stretti e rischiosi. Un ricorso basato su motivi non consentiti dalla legge non solo non ha alcuna possibilità di successo, ma comporta anche conseguenze economiche negative. Come stabilito dall’art. 616 c.p.p., in caso di inammissibilità del ricorso per colpa del ricorrente, quest’ultimo viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende. Nel caso di specie, tale sanzione è stata quantificata in 4.000 euro per ciascun ricorrente. Pertanto, prima di intraprendere un’impugnazione avverso una sentenza di patteggiamento, è fondamentale una scrupolosa valutazione legale per verificare se i propri motivi rientrino nell’alveo ristretto disegnato dal legislatore.
 
È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No. Dopo la Riforma Orlando, il ricorso è limitato a tre motivi specifici: errata qualificazione giuridica del fatto, illegalità della pena, o vizi del consenso. Altri motivi, come la contestazione della motivazione sulla colpevolezza, non sono ammessi.
Perché il ricorso in questo specifico caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché i ricorrenti hanno contestato la sufficienza della motivazione sulla loro responsabilità penale, un motivo che non rientra tra quelli tassativamente elencati dall’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Quali sono le conseguenze di un ricorso patteggiamento inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità per colpa del ricorrente comporta la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende. In questa vicenda, la sanzione è stata di quattromila euro per ciascun ricorrente.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4032 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 4032  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/12/2023
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
NOME (CODICE_FISCALE) nato il DATA_NASCITA
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/02/2023 del GIP TRIBUNALE di LECCO
dato avviy6 alte parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
COGNOME NOME e COGNOME NOME ricorrono avverso la sentenza del Tribunale di Lecco che ha loro applicato, su richiesta e con il consenso del PM, ai sensi degli artt. 444 e ss. cod. proc. pen., una pena concordata in relazione al reato di detenzione di non modiche quantità di stupefacente di tipo eroina, cocaina e hashish.
I ricorrenti deducono violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla affermazione di responsabilità a fronte di iter motivazionale del tutto apparente.
I profili di doglianza sopra richiamati sono inammissibili in quanto assolutamente generici, privi di fondamento nonché esclusi dai motivi di impugnazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta, come previsto dall’articolo 448 comma II bis cod.proc.pen., a seguito delle modifiche apportate dalla novella Orlando, applicabile ratione temporis in presenza di richiesta formulata dopo la data del 3.8.2017, la quale limita il ricorso per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena su richiesta a profili concernenti la qualificazione giuridica del reato, la illegalità della pena e i vizi del consenso.
3.1 Invero il giudice, nell’applicare la pena concordata, ha ratificato l’accordo intervenuto tra le parti, escludendo motivatarnente, sulla base degli atti, che ricorressero i presupposti di cui all’art. 129 c.p.p. per il proscioglimento dell’odierno ricorrente. La pur sintetica motivazione, avuto riguardo alla (consapevole e volontaria) rinunzia alla contestazione delle prove dei fatti costituenti oggetto di imputazione, implicita nella domanda di patteggiarnento, nonché alla speciale natura dell’accertamento devoluto al giudice del merito in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti che ne consegue, appare pienamente adeguata ai parametri indicati per tale genere di decisioni dalla ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. un., n. 5777 del 27 marzo 1992, COGNOME, rv. 191135; Sez. un., n. 10372 del 27 settembre 1995, COGNOME, rv. 202270; sez. un., n. 20 del 27 ottobre 1999, COGNOME, rv. 214637).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
Dichiara inammissibilAiLricorsà , e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila ciascuno in favore della cas delle ammende.
Così deciso in Roma il 14 Dicembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente