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Ricorso patteggiamento inammissibile: limiti e motivi

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso patteggiamento inammissibile, poiché i motivi si basavano sulla congruità della pena e non su una violazione di legge come richiesto dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La decisione chiarisce che la valutazione sulla misura della pena concordata non rientra tra i motivi di impugnazione consentiti, comportando per i ricorrenti la condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso patteggiamento inammissibile: La Cassazione chiarisce i limiti

Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un istituto fondamentale del nostro processo penale che permette di definire il giudizio in modo più rapido. Tuttavia, la scelta di questo rito comporta una significativa limitazione del diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con chiarezza i confini entro cui è possibile presentare ricorso, dichiarando un ricorso patteggiamento inammissibile perché fondato su motivi non consentiti dalla legge.

I Fatti del Caso: La contestazione della Pena

Due soggetti avevano concordato con la pubblica accusa una pena di quattro anni e otto mesi di reclusione, oltre a una multa di 20.000 euro, per un reato legato agli stupefacenti, aggravato dalla continuazione. Successivamente, hanno deciso di impugnare la sentenza di patteggiamento davanti alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione di legge nella determinazione della pena. In particolare, la loro doglianza si concentrava sulla congruità dell’aumento di pena applicato dal giudice a titolo di continuazione tra i vari episodi delittuosi.

La Decisione della Corte di Cassazione e il ricorso patteggiamento inammissibile

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi proposti congiuntamente dai due imputati inammissibili. La decisione si fonda su una stretta interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Secondo i giudici, i motivi addotti dai ricorrenti non rientravano nel catalogo tassativo di censure ammesse contro una sentenza di patteggiamento. Di conseguenza, oltre a rigettare le istanze, la Corte ha condannato entrambi i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

Le Motivazioni: I limiti dell’Art. 448, comma 2-bis, c.p.p.

La motivazione della Corte è puramente processuale e si incentra sulla natura dell’accordo di patteggiamento e sui limiti del suo controllo in sede di legittimità. Il legislatore, con l’articolo 448, comma 2-bis, c.p.p., ha voluto circoscrivere in modo netto le ragioni per cui una sentenza di patteggiamento può essere messa in discussione.

La Distinzione tra Violazione di Legge e Giudizio di Congruità

Il punto cruciale della decisione risiede nella distinzione tra una vera e propria “violazione di legge” e un giudizio sulla “congruità” della pena. I ricorrenti non contestavano un errore di diritto nel calcolo della pena (ad esempio, un’errata applicazione di una circostanza attenuante), ma la valutazione discrezionale del giudice nel quantificare l’aumento per la continuazione. La Corte ha chiarito che questo tipo di valutazione, attinente al merito della quantificazione della sanzione, non costituisce un motivo di ricorso valido. Le doglianze, essendo prive di specificità e non rientrando tra quelle previste dalla norma, hanno reso il ricorso patteggiamento inammissibile.

La Condanna alla Cassa delle Ammende

La condanna al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende non è una semplice sanzione accessoria. Essa viene disposta quando l’inammissibilità del ricorso è determinata da una colpa del ricorrente. In questo caso, la Corte ha ravvisato tale colpa nella proposizione di un’impugnazione basata su motivi che la legge esclude esplicitamente, dimostrando una negligenza nell’interpretazione delle norme processuali.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Difesa

Questa ordinanza serve come un importante monito per la difesa tecnica. La scelta del patteggiamento implica l’accettazione della pena concordata, e le possibilità di rimetterla in discussione sono estremamente limitate. È fondamentale che l’avvocato valuti con la massima attenzione non solo l’opportunità del rito speciale, ma anche i ristretti confini dell’eventuale impugnazione. Un ricorso basato su censure relative alla congruità della pena, anziché su vizi di legittimità tassativamente previsti, è destinato all’inammissibilità e comporterà un ulteriore aggravio di spese per l’assistito.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per contestare la congruità dell’aumento di pena per la continuazione?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che le censure relative alla congruità dell’aumento di pena sono estranee al catalogo dei motivi previsti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale e, pertanto, rendono il ricorso inammissibile.

Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile contro una sentenza di patteggiamento?
La parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e, qualora sussistano profili di colpa, anche al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, come avvenuto nel caso di specie con una sanzione di 3.000 euro per ciascun ricorrente.

Per quale motivo i motivi di ricorso sono stati considerati non consentiti dalla legge?
I motivi sono stati ritenuti non consentiti perché riguardavano la valutazione discrezionale sulla misura della pena (la congruità), mentre la legge permette di impugnare una sentenza di patteggiamento solo per vizi specifici, come errori nel calcolo matematico della pena o nell’applicazione di circostanze, ma non per rimettere in discussione l’adeguatezza della sanzione concordata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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