Ricorso patteggiamento inammissibile: la Cassazione chiarisce i limiti
Quando si sceglie la via del patteggiamento, si accetta una pena concordata in cambio di una definizione rapida del processo. Ma cosa succede se, dopo la sentenza, si hanno dei ripensamenti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda che le possibilità di impugnazione sono molto ristrette, dichiarando un ricorso patteggiamento inammissibile perché basato su motivi non consentiti dalla legge. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Un imputato, a seguito di un accordo con la pubblica accusa, otteneva dal Giudice per le Indagini Preliminari una sentenza di patteggiamento per reati in materia di stupefacenti. La pena applicata era di tre anni di reclusione e una multa di 14.800 euro.
Nonostante l’accordo, l’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione tramite il suo difensore, sollevando due questioni principali:
1. La mancata qualificazione dei fatti nella fattispecie più lieve di spaccio di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti.
2. L’illegittimità della confisca del denaro sequestrato, ritenuta una misura di sicurezza patrimoniale ingiustificata.
L’Analisi della Corte e il Ricorso patteggiamento inammissibile
La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile in toto. La decisione si fonda su una rigorosa interpretazione dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, che elenca tassativamente i motivi per cui una sentenza di patteggiamento può essere impugnata.
Secondo la Corte, il primo motivo di ricorso, relativo alla qualificazione giuridica del fatto (cioè se si trattasse di spaccio ‘comune’ o di ‘lieve entità’), non rientra tra quelli ammessi. La legge consente di ricorrere per ‘erronea qualificazione giuridica’, ma la giurisprudenza ha chiarito che questa possibilità non può essere usata per rimettere in discussione una valutazione di merito che è stata alla base dell’accordo tra le parti. Accettando il patteggiamento, l’imputato ha implicitamente accettato anche la qualificazione del reato proposta dall’accusa.
Anche il secondo motivo, riguardante la confisca, è stato giudicato inammissibile. La Corte ha osservato che il giudice di primo grado aveva fornito una motivazione logica, congrua e giuridicamente corretta per disporre la confisca. Il denaro era stato considerato profitto del reato e, in ogni caso, sproporzionato rispetto alle condizioni economiche e personali dell’imputato.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione centrale della Corte risiede nella natura stessa del patteggiamento. Si tratta di un accordo che, per sua essenza, comporta una rinuncia a contestare nel merito le accuse. La legge, introdotta nel 2017, ha voluto limitare drasticamente le impugnazioni per evitare che il patteggiamento diventasse solo un primo passo per poi tentare di rimettere tutto in discussione in Cassazione.
I motivi ammessi dall’art. 448, comma 2-bis c.p.p. sono circoscritti a vizi ‘genetici’ dell’accordo o della sentenza, come un difetto nel consenso dell’imputato, la mancata corrispondenza tra la richiesta e la decisione del giudice, l’illegalità della pena (se supera i limiti di legge) o della misura di sicurezza. La richiesta di una diversa qualificazione giuridica per ottenere un trattamento più favorevole non rientra in queste categorie, essendo una questione di merito preclusa dall’accordo stesso.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la scelta del patteggiamento è una decisione strategica con conseguenze definitive. Un ricorso patteggiamento inammissibile è l’esito quasi certo quando si tenta di contestare elementi che sono stati oggetto dell’accordo tra difesa e accusa. La sentenza di patteggiamento acquista una stabilità quasi totale, salvo vizi gravi e specifici espressamente previsti dalla legge. Per gli operatori del diritto e per gli imputati, ciò significa che la valutazione sull’opportunità di un patteggiamento deve essere fatta con la massima attenzione, poiché le porte per un ripensamento successivo sono, per legge, quasi del tutto sbarrate.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento in Cassazione?
No, non è sempre possibile. L’impugnazione è consentita solo per i motivi tassativamente indicati dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, che riguardano principalmente vizi nella formazione della volontà, errori nella correlazione tra richiesta e sentenza, o l’illegalità della pena o delle misure di sicurezza.
La contestazione sulla qualificazione del reato è un motivo valido per ricorrere contro un patteggiamento?
No. Secondo la decisione in esame, la richiesta di una diversa e più favorevole qualificazione giuridica del fatto (ad esempio, da spaccio a spaccio di lieve entità) non rientra tra i motivi ammessi per ricorrere, in quanto attiene a una valutazione di merito che si considera accettata con l’accordo di patteggiamento.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, la sentenza di patteggiamento diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito nel caso di specie.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3145 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3145 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 18/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 15/08/2004
avverso la sentenza del 20/03/2024 del GIP TRIBUNALE di COMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 20 marzo 2024 il G.I.P. del Tribunale di Como ha applicato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a NOME la pena di anni tre di reclusione ed euro 14.800,00 di multa in ordine ad alcune ipotesi di reato in materia di stupefacenti.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con due distinti motivi: violazione di legge in ordine alla mancata qualificazione delle fattispecie ascrittegli nella più liev ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. 309 del 1990; violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla disposta applicazione della misura di sicurezza patrimoniale prevista dall’art. 240 cod. pen.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non deducibili in questa sede di legittimità.
2.1. Ed infatti, con riferimento alla prima censura, deve essere osservato come essa non rientri tra quelle indicate dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardante motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’errone qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura sicurezza.
2.2. Parimenti inammissibile è, poi, la seconda doglianza, avendo adeguatamente rappresentato il Tribunale, con motivazione logica e congrua, oltre che giuridicamente corretta, le ragioni per cui ha ritenuto di disporre la confisca del denaro in sequestro, ritenendo lo stesso profitto del reato e, comunque, sproporzionato rispetto alle condizioni reddituali e personali proprie dell’imputato (cfr. p. 2 della sentenza impugnata).
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa del ammende.
Così deciso in Roma il 18 settembre 2024
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Il Consigliere estensore
Il Pr sidente