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Ricorso patteggiamento inammissibile: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che, dopo un patteggiamento per reati di droga, contestava la mancata concessione delle attenuanti generiche. La Suprema Corte ha ribadito che, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis c.p.p., il ricorso contro una sentenza di patteggiamento è limitato a questioni di illegalità della pena e non può vertere su aspetti discrezionali del giudice, rendendo il ricorso patteggiamento inammissibile.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento Inammissibile: i Limiti Fissati dalla Cassazione

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha riaffermato i confini invalicabili per l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento. La decisione sottolinea come un ricorso patteggiamento inammissibile sia l’esito inevitabile quando le doglianze non riguardano l’illegalità della pena, ma aspetti puramente valutativi come la concessione delle attenuanti. Questo principio, cristallizzato nell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, rappresenta un punto fermo per la difesa.

I Fatti del Caso Giudiziario

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato tramite patteggiamento per plurime violazioni della normativa sugli stupefacenti (art. 73 d.P.R. 309/1990). L’imputato aveva concordato la pena con la Procura, ottenendo una sentenza di applicazione della pena dal Tribunale. Successivamente, ha proposto ricorso per cassazione lamentando un unico vizio: l’omessa motivazione da parte del giudice di merito sulla mancata concessione delle attenuanti generiche. In sostanza, il ricorrente non contestava la legalità della pena pattuita, ma la valutazione discrezionale del giudice su un elemento che avrebbe potuto ridurla ulteriormente.

La Decisione sul Ricorso Patteggiamento Inammissibile

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente inammissibile. I giudici hanno richiamato un consolidato orientamento giurisprudenziale e la chiara dizione normativa dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma limita drasticamente i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento.

Il ricorso è consentito solo se si contesta:
1. L’espressione della volontà dell’imputato.
2. Il difetto di correlazione tra richiesta e sentenza.
3. L’erronea qualificazione giuridica del fatto.
4. L’illegalità della pena o delle misure di sicurezza applicate.

Il motivo sollevato dal ricorrente, relativo alla mancata concessione delle attenuanti generiche, non rientra in nessuna di queste categorie. Si tratta, infatti, di una questione che attiene alla ‘commisurazione della pena’ e al bilanciamento delle circostanze, aspetti che sono esclusi dal perimetro del sindacato di legittimità sul patteggiamento.

Le Motivazioni della Suprema Corte

Le motivazioni della Corte sono nette e si fondano su un’interpretazione rigorosa della legge. I giudici hanno spiegato che per ‘pena illegale’ si intende una sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico oppure una pena che, per specie o quantità, eccede i limiti legali. Le censure relative alla violazione dei parametri di cui all’art. 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere), al bilanciamento delle circostanze o alla misura delle diminuzioni conseguenti alla loro applicazione, sono invece estranee al concetto di ‘illegalità della pena’.

L’accordo tra imputato e pubblico ministero, recepito dal giudice nel patteggiamento, cristallizza la pena in tutti i suoi aspetti commisurativi. Contestare successivamente la mancata applicazione delle attenuanti significa rimettere in discussione proprio quel nucleo dell’accordo che la legge ha voluto sottrarre all’impugnazione, al fine di garantire la celerità e la stabilità di questo rito speciale. Pertanto, presentare un appello basato su tali motivi conduce inevitabilmente a una declaratoria di ricorso patteggiamento inammissibile.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza conferma che la scelta del patteggiamento comporta una rinuncia quasi totale al diritto di impugnare la misura della pena. L’imputato e il suo difensore devono essere consapevoli che, una volta raggiunto l’accordo e ottenuta la ratifica del giudice, non sarà più possibile contestare in Cassazione le valutazioni discrezionali che hanno portato alla determinazione della sanzione finale, come quelle relative alle attenuanti generiche. L’unica via di ricorso percorribile rimane quella legata a vizi tassativamente indicati, tra cui spicca l’illegalità della pena in senso stretto. La conseguenza di un ricorso presentato al di fuori di questi binari è non solo la sua inammissibilità, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto nel caso di specie.

È possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento se si ritiene la pena troppo alta?
No. Secondo la Corte, il ricorso contro una sentenza di patteggiamento non può riguardare la misura della pena o la valutazione delle circostanze (come le attenuanti). L’impugnazione è consentita solo per motivi specifici e tassativi, come l’applicazione di una pena illegale, cioè non prevista dalla legge o superiore ai limiti massimi consentiti.

Cosa si intende per ‘pena illegale’ ai fini del ricorso contro il patteggiamento?
Per ‘pena illegale’ si intende una sanzione che non trova previsione nell’ordinamento giuridico o che, per tipologia o quantità, supera i limiti stabiliti dalla legge. Non rientrano in questa definizione le questioni relative alla valutazione della gravità del reato o alla concessione di attenuanti, che sono considerate profili ‘commisurativi’.

Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile contro una sentenza di patteggiamento?
Quando la Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile perché proposto per motivi non consentiti, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle Ammende. Nel caso esaminato, tale somma è stata quantificata in tremila Euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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