Ricorso Patteggiamento Inammissibile: Quando l’Impugnazione è Vietata
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un istituto fondamentale del nostro ordinamento processuale penale che consente di definire il processo in modo rapido. Tuttavia, la scelta di questo rito comporta significative limitazioni al diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce con chiarezza i confini di tale diritto, dichiarando un ricorso patteggiamento inammissibile perché fondato su motivi non previsti dalla legge. Analizziamo la decisione per comprendere meglio le regole che governano questa materia.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal G.I.P. del Tribunale di Palmi. Un individuo, accusato di un reato in materia di stupefacenti aggravato ai sensi degli artt. 73 e 80 del D.P.R. 309/1990, aveva concordato con la pubblica accusa una pena di due anni di reclusione e 8.000,00 euro di multa.
Nonostante l’accordo, l’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza. Il motivo unico del ricorso era incentrato sulla richiesta di una diversa qualificazione giuridica del fatto, sostenendo che la condotta dovesse essere ricondotta all’ipotesi di reato di minore gravità prevista dal comma 5 dell’art. 73, che prevede pene sensibilmente inferiori.
L’Analisi della Cassazione sul Ricorso Patteggiamento Inammissibile
La Corte di Cassazione ha stroncato sul nascere le doglianze del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una precisa norma del codice di procedura penale: l’articolo 448, comma 2-bis.
Questa disposizione, introdotta con la riforma del 2017, elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento. Si tratta di un elenco chiuso, che non ammette interpretazioni estensive. Un ricorso patteggiamento inammissibile è, dunque, quello che si basa su ragioni diverse da quelle specificamente consentite.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha spiegato che la censura sollevata dal ricorrente, relativa alla mancata riqualificazione del fatto in un’ipotesi meno grave, non rientra in alcuna delle categorie ammesse dalla legge per impugnare un patteggiamento. I motivi consentiti sono:
1. Vizi legati all’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza del giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto, ma solo se palesemente errata o se il fatto non è previsto dalla legge come reato.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza.
Nel caso di specie, la richiesta di una diversa valutazione nel merito per ricondurre il reato a un’ipotesi più lieve non costituisce un'”erronea qualificazione giuridica” nel senso inteso dalla norma, ma un tentativo di rimettere in discussione l’accordo stesso che è alla base del patteggiamento. L’imputato, accettando il rito, ha implicitamente accettato anche la qualificazione del fatto contenuta nell’accordo. Pertanto, la sua successiva contestazione è stata ritenuta inammissibile.
Le Conclusioni
L’ordinanza si conclude con una declaratoria di inammissibilità “senza formalità”, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p. per i casi di manifesta infondatezza. Come conseguenza diretta, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di 4.000,00 euro alla Cassa delle ammende. Questa pronuncia conferma il principio secondo cui la scelta del patteggiamento è una decisione ponderata che preclude, in larga misura, la possibilità di successive contestazioni nel merito, limitando l’impugnazione a specifici e gravi vizi di legittimità.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento chiedendo una diversa qualificazione giuridica del reato in un’ipotesi meno grave?
No, secondo la decisione in esame, questo motivo di ricorso è inammissibile. La richiesta di una diversa qualificazione giuridica non rientra tra i motivi tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale per impugnare una sentenza di patteggiamento.
Quali sono i motivi consentiti per fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi consentiti, indicati dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., riguardano esclusivamente: vizi nell’espressione della volontà dell’imputato, il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, l’erronea qualificazione giuridica del fatto (in senso stretto) e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro, stabilita dal giudice, in favore della Cassa delle ammende. Nel caso specifico, la somma è stata fissata in 4.000,00 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31343 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31343 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 24/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a GIOIA COGNOME il 24/07/1987
avverso la sentenza del 04/03/2025 del GIP TRIBUNALE di PALMI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 4 marzo 2025 il G.I.P. del Tribunale di Palmi ha applicato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., a Cananzi Salvatore la pena di anni due di reclusione ed euro 8.000,00 di multa in ordine al reato di cui agli artt. 73 e 80, comma 2, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del reato nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivo non consentito.
La dedotta censura, infatti, non rientra tra quelle indicate dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardante motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra l richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegal della pena o della misura di sicurezza.
La declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione deve, pertanto, essere pronunciata «senza formalità», ai sensi di quanto disposto dall’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che appare conforme a giustizia stabilire nella somma di euro 4.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 24 giugno 2025 Il Consigliere estensore NOME COGNOME ente