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Ricorso patteggiamento: i motivi di inammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso patteggiamento proposto da due imputati condannati per rapina. Il motivo del ricorso, basato sulla presunta mancanza di motivazione riguardo la congruità della pena, non rientra tra le ipotesi tassativamente previste dalla legge per l’impugnazione di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. La Corte ribadisce che i motivi di appello sono strettamente limitati a vizi specifici, escludendo contestazioni generiche sulla valutazione del giudice.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile?

Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è uno strumento fondamentale nel nostro ordinamento processuale penale. Tuttavia, la possibilità di impugnare la sentenza che ne deriva è soggetta a limiti molto stringenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini del ricorso patteggiamento, dichiarandolo inammissibile se fondato su motivi non espressamente previsti dalla legge. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il Caso: Un Appello Contro la Sentenza di Patteggiamento

Due soggetti, a seguito di un accordo con la pubblica accusa, ottenevano dal Giudice dell’udienza preliminare una sentenza di patteggiamento per il reato di rapina in concorso. La pena concordata era di 3 anni e 4 mesi di reclusione, oltre a una multa.

Nonostante l’accordo raggiunto, la difesa decideva di presentare ricorso per cassazione. La contestazione non riguardava un errore di calcolo o l’illegalità della pena, bensì un presunto vizio di motivazione: secondo i ricorrenti, il giudice non avrebbe adeguatamente spiegato le ragioni della congruità della pena applicata.

I Limiti del Ricorso Patteggiamento secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile con una procedura semplificata (de plano). La decisione si fonda su una lettura rigorosa della normativa che disciplina l’impugnazione delle sentenze di patteggiamento.

I Motivi Tassativi per l’Impugnazione

L’articolo 444, comma 2-bis, del codice di procedura penale, stabilisce un elenco chiuso e tassativo di motivi per cui è possibile presentare ricorso. L’imputato può contestare la sentenza di patteggiamento esclusivamente per:

1. Vizi della volontà: se il suo consenso all’accordo è stato espresso in modo non libero o consapevole.
2. Difetto di correlazione: se c’è una discordanza tra quanto richiesto dalle parti e quanto deciso dal giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: se il reato è stato inquadrato in una fattispecie errata.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: se la sanzione applicata è contraria alla legge (ad esempio, superiore ai limiti massimi o di specie diversa da quella prevista).

L’Inammissibilità del Motivo Sollevato

Nel caso di specie, la difesa lamentava un difetto di motivazione sulla congruità della pena. La Corte ha sottolineato come tale censura esuli completamente dall’elenco tassativo sopra riportato. La valutazione sulla congruità della pena è parte integrante dell’accordo tra le parti e della successiva ratifica del giudice; una volta che l’accordo è perfezionato e la sentenza emessa, non è possibile rimetterla in discussione attraverso un ricorso patteggiamento basato su questo specifico aspetto.

le motivazioni
La Suprema Corte ha motivato la sua decisione richiamando il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione. L’istituto del patteggiamento si basa su un accordo negoziale tra accusa e difesa, che trova la sua stabilità proprio nella limitata possibilità di essere messo in discussione. Consentire un sindacato sulla motivazione della congruità della pena snaturerebbe la logica deflattiva e consensuale del rito. La contestazione dei ricorrenti, pertanto, non rientrava in nessuna delle ipotesi legali che permettono l’impugnazione. Di conseguenza, la Corte ha applicato l’articolo 616 del codice di procedura penale, che prevede, in caso di inammissibilità del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, quantificata in 3.000 euro.

le conclusioni
Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale per chi opera nel diritto penale: il ricorso patteggiamento non è un terzo grado di giudizio aperto a qualsiasi tipo di contestazione. È un rimedio eccezionale, esperibile solo per vizi specifici e gravi che inficiano la validità dell’accordo o la legalità della pena. Gli avvocati e i loro assistiti devono essere consapevoli che, una volta accettato il patteggiamento, le possibilità di rimettere in discussione la sentenza sono estremamente limitate. La scelta di questo rito speciale deve quindi essere ponderata attentamente, valutando tutti i pro e i contro, poiché le sue conseguenze sono, nella maggior parte dei casi, definitive.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per mancanza di motivazione sulla congruità della pena?
No, la sentenza chiarisce che questo motivo non rientra nell’elenco tassativo previsto dalla legge per l’impugnazione. Di conseguenza, un ricorso basato su tale censura è inammissibile.

Quali sono i motivi validi per presentare un ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi consentiti, ai sensi dell’art. 444, comma 2-bis, c.p.p., sono esclusivamente quelli attinenti all’espressione della volontà delle parti, a difetti di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’applicazione di una pena o di una misura di sicurezza illegale.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
Come stabilito dall’art. 616 c.p.p., la declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in € 3.000,00.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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