Ricorso Patteggiamento: I Motivi Tassativi per l’Impugnazione
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione torna a delineare i confini di ammissibilità del ricorso patteggiamento. La decisione chiarisce in modo inequivocabile che le doglianze relative a presunti vizi avvenuti nella fase delle indagini preliminari non possono costituire un valido motivo di impugnazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta. Questo principio, consolidato dalla riforma Orlando, mira a definire con precisione i limiti del giudizio di legittimità in un rito premiale come il patteggiamento.
Il Caso in Esame: Un Ricorso Basato su Vizi Procedurali
Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte riguardava un soggetto che aveva patteggiato una pena per il reato previsto dall’art. 73, comma 4, del d.P.R. 309/90, una fattispecie di lieve entità legata agli stupefacenti. L’imputato, tramite il suo difensore, aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 294 del codice di procedura penale. In particolare, si contestava il mancato espletamento dell’interrogatorio di garanzia da parte del Giudice per le Indagini Preliminari prima dell’emissione dell’ordinanza che disponeva gli arresti domiciliari. Secondo la difesa, questa omissione procedurale avrebbe inficiato la validità degli atti successivi, compresa la sentenza di patteggiamento.
I Limiti al Ricorso Patteggiamento secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fondando la sua decisione sul chiaro dettato normativo dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la Legge n. 103 del 2017 (la cosiddetta Riforma Orlando), stabilisce un elenco tassativo di motivi per cui è possibile ricorrere contro una sentenza di patteggiamento. Tali motivi sono:
1. Vizi nell’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, se il consenso al patteggiamento non è stato liberamente prestato).
2. Difetto di correlazione tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza emessa dal giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto contestato.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.
La Corte ha sottolineato che la doglianza sollevata dal ricorrente, relativa al mancato interrogatorio di garanzia, è una questione che attiene alla fase delle indagini preliminari e non rientra in alcuna delle categorie sopra elencate.
Perché le Nullità delle Indagini non rilevano
Il principio affermato è che, una volta che l’imputato sceglie il rito del patteggiamento, accetta implicitamente di non contestare più le risultanze delle indagini preliminari. Le eventuali nullità o irregolarità verificatesi in quella fase, se non dedotte tempestivamente, non possono essere fatte valere in un secondo momento per scardinare l’accordo raggiunto con il pubblico ministero e ratificato dal giudice. L’impugnazione, pertanto, deve concentrarsi esclusivamente sulla correttezza dell’accordo e della sua ratifica giudiziale, secondo i parametri strettamente definiti dalla legge.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Corte si basano sulla natura stessa del patteggiamento, che è un rito premiale basato su un accordo tra le parti processuali. La legge ha voluto limitare le possibilità di impugnazione per garantire la stabilità di queste decisioni e per evitare che il ricorso diventi uno strumento per rimettere in discussione, in modo pretestuoso, l’intero iter procedimentale precedente all’accordo. Le questioni procedurali, come quella dell’interrogatorio di garanzia, devono essere sollevate negli appositi momenti processuali, ad esempio attraverso un’istanza di riesame contro la misura cautelare, ma non possono essere utilizzate come grimaldello per invalidare una sentenza di patteggiamento.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: la scelta del patteggiamento comporta una rinuncia a far valere vizi procedurali relativi alla fase investigativa. Di conseguenza, chi intende accedere a questo rito deve essere consapevole che il successivo ricorso patteggiamento potrà basarsi solo sui ristretti motivi previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. La decisione ha anche una conseguenza pratica immediata per il ricorrente: la dichiarazione di inammissibilità ha comportato la sua condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa nella proposizione di un ricorso palesemente infondato.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per vizi avvenuti durante le indagini preliminari?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che i motivi di ricorso sono tassativamente indicati dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. e non includono presunte nullità o vizi della fase delle indagini preliminari, come il mancato interrogatorio di garanzia.
Quali sono i soli motivi per cui si può fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
Il ricorso è consentito solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato (es. consenso viziato), al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Cosa succede se si presenta un ricorso per patteggiamento per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. La parte che lo ha proposto viene condannata al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18802 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18802 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/10/2023 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di TORRE ANNUNZIATA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RG. n.
Rilevato che il ricorso proposto da COGNOME, nei cui confronti è stata emessa sentenza di applicazione della pena per il reato di cui all’art. 73 c.4, d.P.R. 309/90, deduce la violazione di legge in relazione all’art. 294, cod. proc. pen., in riferimento al mancato espletamento dell’interrogatorio di garanzia ex art. 294, cod. proc. pen.;
Ritenuto che il ricorso avverso sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. (da trattarsi ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen.) è inammissibile, atteso che, secondo quanto previsto dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. disposizione introdotta con la legge 23 giugno 2017, n. 103 -, il pubblico ministero e l’imputato possono ricorrere per Cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza;
Considerato che, nel caso in esame, il ricorrente ha dedotto vizi che attingono la sentenza di applicazione della pena unicamente per il mancato espletamento dell’interrogatorio di garanzia che, ai sensi dell’art. 27, cod proc. pen., il GIP d tribunale di Torre Annunziata non avrebbe espletato prima di emettere l’ordinanza custodiale applicativa degli arresti domiciliari, ma non ha posto a sostegno del suo ricorso alcuna della ipotesi richiamate per le quali è attualmente consentito il ricorso per Cassazione e che conseguentemente si tratta di doglianze avverso sentenze di applicazione della pena su richiesta non consentite nel giudizio di legittimità;
Ritenuto, in particolare, che non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione proposto a norma dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., questioni afferenti alla fase delle indagini preliminari né nullità verificatesi asseritamente in tale fase;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della cassa delle ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella proposizione del ricorso.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso, il 1° marzo 2024
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Il Presidente