Ricorso Patteggiamento: Quando è Inammissibile? La Cassazione Chiarisce
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un istituto fondamentale del nostro sistema processuale penale che permette di definire il processo in modo rapido, con uno sconto di pena. Tuttavia, le possibilità di impugnare una sentenza emessa a seguito di questo rito sono state significativamente limitate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 9253/2024) ribadisce i confini invalicabili del ricorso patteggiamento, chiarendo quali motivi non possono più essere portati all’attenzione dei giudici di legittimità.
Il Caso in Analisi: un Ricorso Oltre i Limiti Consentiti
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato con patteggiamento dal Tribunale di Milano a un anno e sei mesi di reclusione per un reato previsto dalla normativa sull’immigrazione (art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998). Nonostante l’accordo raggiunto con la Procura, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per cassazione, lamentando una carenza di motivazione da parte del giudice di merito riguardo alla sussistenza del reato e alla sua responsabilità penale.
In sostanza, il ricorrente chiedeva alla Cassazione una nuova valutazione sul merito della sua colpevolezza, un’operazione preclusa nell’ambito del rito speciale del patteggiamento.
I Motivi del Ricorso Patteggiamento e la Riforma del 2017
La Corte di Cassazione ha immediatamente dichiarato il ricorso inammissibile, fondando la propria decisione sulle modifiche legislative introdotte dalla legge n. 103 del 2017 (nota come Riforma Orlando). Questa normativa ha riscritto l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, stabilendo un elenco tassativo e molto restrittivo dei motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento.
Oggi, il pubblico ministero e l’imputato possono presentare ricorso patteggiamento solo per motivi attinenti a:
* L’espressione della volontà dell’imputato (ad esempio, un consenso viziato);
* Il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza;
* L’erronea qualificazione giuridica del fatto;
* L’illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
Come evidente, la contestazione relativa alla sufficienza della motivazione sulla colpevolezza, sollevata dal ricorrente, non rientra in nessuna di queste categorie. Pertanto, il motivo addotto era palesemente al di fuori dei confini consentiti dalla legge.
Il Controllo del Giudice sul Patteggiamento
La Corte ha inoltre precisato che il giudice di primo grado, prima di accogliere la richiesta di patteggiamento, ha comunque l’obbligo di verificare l’assenza di cause di proscioglimento immediato, come previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale. Nel caso di specie, tale controllo era stato regolarmente effettuato, come risultava dalla sentenza che faceva riferimento al contenuto del verbale di arresto e ai documenti allegati. Il giudice aveva quindi ratificato l’accordo tra le parti solo dopo aver escluso la possibilità di un’assoluzione evidente.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
Le motivazioni della Corte sono state nette e lineari. Il ricorso è stato ritenuto affetto da un vizio di inammissibilità che può essere dichiarato senza ulteriori formalità procedurali, come previsto dall’art. 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale. L’introduzione dei limiti al ricorso contro la sentenza di patteggiamento ha lo scopo di deflazionare il carico della Corte di Cassazione e di dare stabilità agli accordi raggiunti tra accusa e difesa, impedendo ripensamenti basati su una riconsiderazione del merito della vicenda.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione
L’ordinanza in esame conferma un principio ormai consolidato: chi sceglie la via del patteggiamento accetta implicitamente una valutazione di colpevolezza in cambio di un beneficio sanzionatorio. La successiva impugnazione non può trasformarsi in un tentativo di ottenere un riesame dei fatti. Le uniche porte per un ricorso patteggiamento restano quelle, strettissime, relative a vizi procedurali o a errori di diritto di particolare gravità, come un’errata qualificazione del reato o l’applicazione di una pena illegale. La conseguenza di un ricorso inammissibile, come in questo caso, è la condanna del ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una cospicua somma (tremila euro) alla Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver adito inutilmente la Suprema Corte.
È possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento contestando la valutazione dei fatti o la motivazione del giudice?
No, dopo la riforma introdotta con la legge n. 103 del 2017, non è più possibile. I motivi di ricorso sono limitati a questioni specifiche come l’espressione della volontà dell’imputato, l’errata qualificazione giuridica del fatto, l’illegalità della pena o il difetto di correlazione tra richiesta e sentenza.
Quale controllo effettua il giudice prima di applicare la pena concordata nel patteggiamento?
Il giudice deve verificare che non sussistano le condizioni per un proscioglimento immediato dell’imputato, come previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale. In questo caso, il giudice lo ha fatto basandosi sul verbale di arresto e sui documenti allegati.
Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver presentato un ricorso non consentito dalla legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9253 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9253 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/02/2024
ORDINANZA
Q/Nr..3
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
8(
avverso la sentenza del 06/09/2023 del TRIBUNALE di MILANO
Pi 1J dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e IN DIRITTO
Rilevato che il ricorso attinge la sentenza di applicazione della pena richiesta dalle parti, ex art. 444 cod. proc. pen., emessa dal Tribunale di Milano nei confronti di COGNOME NOME, in relazione al reato di cui all’art. 13, comma 13, d. Igs. n. 286 del 1998, nella misura di anni uno e mesi sei di reclusione, nella parte in cui non sarebbe stata data esauriente motivazione circa la sussistenza del reato ascritto all’imputato e circa il giudizio di responsabilità operato a carico dell’imputato.
Considerato che il motivo non è consentito, dopo la modifica introdotta dalla legge n. 103 del 2017, posto che il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza all’erronea qualificazione giuridica del fatto ed all’illegalità della pena o del misura di sicurezza (art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.).
Rilevato, altresì, che il giudice, nell’applicare la pena concordata, ha ratificato l’accordo intervenuto tra le parti e ha escluso, motivatamente, che ricorressero i presupposti di cui all’art. 129 cod. proc. pen. per il proscioglimento dell’odierno ricorrente (cfr. seconda pagina della sentenza ove si fa riferimento al contenuto del verbale di arresto e dei documenti allegati).
Ritenuto che, quindi, il ricorso è affetto da inammissibilità che può essere dichiarata senza formalità di procedura, a norma dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., cui segue la condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 8 febbraio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente