Ricorso Patteggiamento: Quando l’Impugnazione è Fuori dai Binari Legali
L’istituto del patteggiamento, disciplinato dall’art. 444 del codice di procedura penale, rappresenta una scelta strategica per definire rapidamente un procedimento penale. Tuttavia, la volontà di impugnare la sentenza che ne deriva si scontra con limiti ben precisi, come evidenziato da una recente ordinanza della Corte di Cassazione. Analizziamo come un ricorso patteggiamento, se non fondato sui motivi tassativamente previsti dalla legge, sia destinato a un esito di inammissibilità, con conseguenze economiche per il ricorrente.
I Fatti del Caso: Dal Patteggiamento alla Cassazione
Un soggetto, a seguito di un accordo con la pubblica accusa, otteneva dal Giudice dell’Udienza Preliminare una sentenza di patteggiamento per un grave reato in materia di stupefacenti. La pena concordata era di due anni e dieci mesi di reclusione, oltre a una multa di 14.000,00 euro.
Nonostante l’accordo raggiunto, la difesa decideva di presentare ricorso per cassazione. L’obiettivo non era contestare la congruità della pena, bensì lamentare un presunto vizio di motivazione della sentenza.
I Motivi del Ricorso Patteggiamento: Una Critica alla Motivazione
L’unico motivo di ricorso si fondava sulla violazione degli articoli 125 e 546 del codice di procedura penale. In particolare, il ricorrente sosteneva che il giudice di primo grado avesse omesso di motivare sulle ragioni che lo avevano portato a escludere le cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p., come l’evidente innocenza dell’imputato. Secondo la difesa, il giudice avrebbe dovuto, prima di ratificare l’accordo, verificare e dare conto dell’assenza di tali cause di proscioglimento immediato.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile in modo netto e senza entrare nel merito della questione sollevata. La decisione si basa su un’interpretazione rigorosa dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta nel 2017, elenca in modo tassativo i soli motivi per cui è possibile presentare un ricorso patteggiamento in Cassazione. Essi sono:
1. Vizi relativi all’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza emessa.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto contestato.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.
La censura mossa dal ricorrente, relativa all’omessa motivazione sull’art. 129 c.p.p., non rientra in nessuna di queste quattro categorie. Si tratta, pertanto, di un “motivo non consentito” dalla legge. La Corte ha sottolineato che la scelta di accedere al patteggiamento comporta una rinuncia a far valere determinate doglianze, e le possibilità di impugnazione sono volutamente ristrette dal legislatore per garantire la stabilità di tali sentenze.
Di conseguenza, constatata l’inammissibilità, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 4.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Decisione
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento è un’eccezione, non la regola. Gli avvocati devono prestare la massima attenzione nel valutare la proponibilità di un ricorso, verificando che le proprie censure rientrino scrupolosamente nel perimetro disegnato dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Tentare di forzare la mano con motivi non previsti dalla norma conduce non solo a un rigetto scontato, ma anche a un’ulteriore condanna economica per il proprio assistito, rendendo la strategia processuale controproducente.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento è soggetta a limiti rigorosi. È possibile presentare ricorso per cassazione solo per i motivi specificamente ed esclusivamente elencati dalla legge.
Quali sono i motivi validi per un ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
Secondo l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, i motivi validi riguardano esclusivamente: l’espressione della volontà dell’imputato, il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, l’erronea qualificazione giuridica del fatto e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Cosa accade se si propone un ricorso con un motivo non previsto dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione. Questa declaratoria comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 38017 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 38017 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/11/2023 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di LODI
dato ay4 alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 22 novembre 2023 il G.U.P. del Tribunale di Lodi ha applicato, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., ad NOME COGNOME – per quanto di interesse in questa sede – la pena di anni due, mesi dieci di reclusione ed euro 14.000,00 di multa in ordine al reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 73, comma 1, e 80, comma 2, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo, con un unico motivo, inosservanza degli artt. 125 e 546 cod. proc. pen. per omessa motivazione della sentenza in ordine alle ragioni di esclusione delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivo non consentito.
La dedotta censura, infatti, non rientra tra quelle indicate dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardante motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegali della pena o della misura di sicurezza.
La declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione deve, pertanto, essere pronunciata «senza formalità», ai sensi di quanto disposto dall’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen.
All’inammissibilità del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che appare conforme a giustizia stabilire nella somma di euro 4.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 4.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 10 luglio 2024
GLYPH
Il Consigliere estensore