Ricorso Patteggiamento: i Limiti Stretti dell’Impugnazione in Cassazione
Con l’ordinanza n. 35766 del 2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui confini dell’impugnazione delle sentenze di patteggiamento, confermando un orientamento ormai consolidato. La decisione offre spunti cruciali per comprendere perché il ricorso patteggiamento sia soggetto a limiti molto più stringenti rispetto ai mezzi di impugnazione ordinari. Il caso analizzato riguarda un imputato che, dopo aver concordato la pena, ha tentato di rimettere in discussione la qualificazione giuridica dei reati contestati.
I Fatti di Causa
Il procedimento trae origine dal ricorso presentato da un imputato contro una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (il cosiddetto patteggiamento), emessa dal GIP del Tribunale di Napoli Nord. La sentenza riguardava i reati di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) ed evasione (art. 385 c.p.).
Nel suo ricorso per Cassazione, la difesa lamentava una violazione di legge, sostenendo che i fatti fossero stati erroneamente qualificati come resistenza a pubblico ufficiale. In sostanza, si contestava la valutazione giuridica che era alla base dell’accordo sulla pena, cercando di ottenere una rivalutazione dalla Suprema Corte.
L’Analisi della Corte sul Ricorso Patteggiamento
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile in modo netto e senza necessità di un’udienza pubblica. Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta per deflazionare il carico della Cassazione, elenca in modo tassativo i soli motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento.
Questi motivi includono:
1. Problemi relativi all’espressione della volontà dell’imputato.
2. Difetto di correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza del giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto solo se palesemente errata e non rilevata dal giudice.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza disposta.
La censura mossa dal ricorrente, relativa a una presunta erronea qualificazione giuridica del fatto, non rientrava in questo perimetro. La Corte ha spiegato che il giudizio sulla corretta qualificazione dei fatti, una volta operato dal giudice in accoglimento dell’accordo tra le parti, esce dal sindacato di legittimità, a meno che non emergano palesi ed evidenti incongruenze. L’accordo stesso tra accusa e difesa implica l’accettazione della qualificazione giuridica data ai fatti descritti nel capo di imputazione.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Suprema Corte si fonda sulla natura stessa del patteggiamento. Si tratta di un rito premiale che si basa su un accordo negoziale tra le parti processuali, con il controllo di legalità del giudice. Permettere un’ampia facoltà di impugnazione sulla base di motivi di merito, come la qualificazione giuridica, snaturerebbe l’istituto e vanificherebbe il suo scopo deflattivo.
La norma (art. 448, c. 2-bis, c.p.p.) ha deliberatamente ristretto il campo dell’impugnazione per evitare che il ricorso patteggiamento diventi un’occasione per rimettere in discussione l’intero accordo. La valutazione del giudice del patteggiamento sulla correttezza dell’inquadramento giuridico è considerata sufficiente garanzia, e la Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di merito per rivalutare tale scelta, se non di fronte a vizi macroscopici e immediatamente percepibili.
Di conseguenza, dichiarando l’inammissibilità, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di euro 3.000,00 alla Cassa delle ammende, sanzionando l’utilizzo di un mezzo di impugnazione per ragioni non più consentite dalla legge.
Conclusioni
Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale: la scelta del patteggiamento è una decisione strategica che comporta la rinuncia a far valere determinate contestazioni nel merito. L’impugnazione successiva è un’eventualità eccezionale, circoscritta a vizi procedurali o a illegalità palesi della pena. Chi accede a questo rito deve essere consapevole che la possibilità di contestare la qualificazione giuridica del reato è fortemente limitata. La decisione della Cassazione serve da monito contro i ricorsi meramente dilatori o esplorativi, rafforzando l’efficienza e la definitività delle sentenze di patteggiamento.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per un’errata qualificazione giuridica del fatto?
Di norma, no. La Corte di Cassazione chiarisce che l’erronea qualificazione giuridica del fatto non rientra tra i motivi tassativi di ricorso previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., a meno che non si tratti di un errore palese ed evidente che il giudice avrebbe dovuto rilevare.
Quali sono i motivi validi per un ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
I motivi sono strettamente limitati a specifiche violazioni di legge, come quelle che riguardano la formazione della volontà dell’imputato, la mancata corrispondenza tra richiesta e sentenza, l’applicazione di una pena illegale o di una misura di sicurezza non consentita.
Cosa accade se un ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. Nel caso esaminato, tale somma è stata quantificata in 3.000,00 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35766 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35766 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a AVERSA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/03/2024 del GIP TRIBUNALE di NAPOLI NORD
dato avvisfA’parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso presentato dal difensore di NOME contro la sentenza n. 185/202 con cui il Gip presso il Tribunale di Napoli% applicato in data 6 marzo 2024 la pena ex a 444 cod. proc. pen. per i reati di cui agli artt. 337 e 385 cod. pen., è inammissibile.
Con il ricorso si impugna l’anzidetta sentenza di patteggiaimento, deducendo violazione di leg per erronea qualificazione giuridica dei reati di resistenza a pubblico ufficiale.
Le censure articolate nel ricorso sono inammissibili perché non rientrano all’evidenza fra i previsti dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.
La nuova previsione di legge, in deroga ai casi di ricorso regolati dalla disciplina generale all’art. 606 cod. proc. pen., delimita l’impugnazione riducendola ai soli casi tassativa indicati che attengono ad ipotesi specifiche di violazione di legge, ammettendo il control legalità solo quando siano state violate le disposizioni che riguardano l’espressione d volontà dell’imputato, il difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, l’erronea qualif giuridica del fatto, l’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Il giudizio sulla qualificazione giuridica dei fatti operato in accoglimento dell’accordo sull conformemente alle richieste delle parti, valutate corrette dal giudice in relazion descrizione contenuta nel capo di imputazione ed in assenza di palesi ed evidenti incongruenze rispetto alla fattispecie penale richiamata, è fuori dal perimetro del sindacato di leg segnato dal citato art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.
L’inammissibilità del ricorso va dichiarata senza formalità di rito e con trattazione camerale partecipata, con ordinanza ex art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 4727 del 11/01/2018, Rv. 272014; Sez. 6, n. 8912 del 20/02/2018, Rv. 272389).
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spes processuali, nonché, ex art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma di euro tremila a favore della cassa delle ammende, che si ritiene equa considerando che il ricorso è sta esperito per ragioni non più consentite dalla legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali ed al versamento della somma di euro 3000,00 in favore della cassa delle ammende