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Ricorso patteggiamento: i limiti dell’impugnazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso contro una sentenza di patteggiamento per reati di droga. L’ordinanza chiarisce che, dopo la riforma del 2017, il ricorso patteggiamento è limitato a motivi specifici, escludendo la censura sulla mancata motivazione riguardo le cause di proscioglimento. L’accordo sulla pena implica una rinuncia a far valere tali eccezioni.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Patteggiamento: Quando è Ammesso e Quando No?

Il patteggiamento è uno strumento processuale che permette di definire il processo penale in modo rapido, ma quali sono i limiti per contestare la sentenza che ne deriva? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui confini del ricorso patteggiamento, chiarendo quali motivi possono essere sollevati e quali no. L’analisi del provvedimento evidenzia come la scelta di accordarsi sulla pena comporti una significativa rinuncia ad altre forme di contestazione, specialmente dopo le riforme legislative del 2017.

I Fatti del Caso: L’Accordo in Tribunale

Due persone sono state condannate dal Tribunale di Vicenza per reati legati agli stupefacenti, ai sensi dell’art. 73 del d.P.R. 309/1990. Invece di affrontare un processo ordinario, gli imputati hanno raggiunto un accordo con il Pubblico Ministero per l’applicazione della pena, il cosiddetto patteggiamento. Le pene concordate erano, rispettivamente, di due anni di reclusione e 1.400 euro di multa per il primo, e di un anno e quattro mesi di reclusione e 1.000 euro di multa per il secondo. Il giudice del Tribunale ha ratificato l’accordo con una sentenza.

L’Impugnazione in Cassazione

Nonostante l’accordo raggiunto, entrambi gli imputati hanno deciso di presentare ricorso alla Corte di Cassazione. Il motivo del ricorso era identico per entrambi e si concentrava su un aspetto specifico: la presunta violazione di legge dovuta alla mancanza di motivazione, da parte del giudice di primo grado, sull’assenza di cause di proscioglimento. In altre parole, i ricorrenti sostenevano che il giudice non avesse spiegato adeguatamente perché non sussistessero le condizioni per una loro totale assoluzione, come previsto dall’art. 129 del codice di procedura penale.

Le Norme di Riferimento per il Ricorso Patteggiamento

La questione centrale ruota attorno all’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la legge n. 103 del 2017 (nota come Riforma Orlando), ha drasticamente limitato i motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento. I motivi ammessi sono esclusivamente:

1. Difetti nell’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
2. Mancata correlazione tra la richiesta delle parti e la sentenza del giudice.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto contestato.
4. Illegalità della pena applicata o della misura di sicurezza.

Il motivo sollevato dai ricorrenti non rientra in questo elenco tassativo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili, fornendo una chiara interpretazione della normativa vigente. I giudici hanno sottolineato che l’intento del legislatore del 2017 era proprio quello di evitare un controllo sulla motivazione della sentenza di patteggiamento riguardo alla colpevolezza, valorizzando invece il consenso prestato dall’imputato.

Accettare il patteggiamento, secondo la Corte, equivale a una rinuncia a far valere qualsiasi altra eccezione, incluse quelle di nullità, che non riguardino i motivi specificamente elencati dalla legge. Sebbene il giudice che applica la pena abbia sempre il dovere di verificare l’assenza di cause di proscioglimento (art. 129 c.p.p.), un eventuale difetto nella motivazione su questo punto non è più un vizio che può essere fatto valere con un ricorso patteggiamento.

In sostanza, l’accordo tra accusa e difesa sulla pena rende superfluo e contraddittorio un successivo motivo di impugnazione basato sulla valutazione dei fatti. L’attenzione si sposta dalla colpevolezza alla correttezza formale e sostanziale dell’accordo stesso.

Le Conclusioni: Inammissibilità e Conseguenze

La decisione della Corte di Cassazione si conclude con la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi. Questa decisione comporta non solo l’impossibilità di esaminare nel merito le doglianze dei ricorrenti, ma anche la loro condanna al pagamento delle spese processuali. Inoltre, in base all’art. 616 c.p.p., non avendo dimostrato di aver agito senza colpa nel determinare la causa di inammissibilità, sono stati condannati a versare una somma di 3.000 euro ciascuno alla Cassa delle ammende.

Il principio che emerge è netto: chi sceglie la via del patteggiamento accetta un percorso processuale semplificato i cui esiti sono difficilmente contestabili, se non per i vizi specifici e limitati previsti dalla legge. Non è possibile utilizzare il ricorso per cassazione come un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda.

È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per qualsiasi motivo?
No. L’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale elenca tassativamente i motivi di ricorso: problemi legati alla volontà dell’imputato, discordanza tra richiesta e sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza.

Se si patteggia, il giudice deve comunque verificare se esistono cause di assoluzione?
Sì. Il giudice ha sempre l’obbligo, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., di verificare l’assenza di cause di proscioglimento prima di ratificare l’accordo di patteggiamento.

Si può fare ricorso se il giudice non ha motivato a sufficienza sul perché non ha prosciolto l’imputato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, a seguito della riforma del 2017, un eventuale vizio di motivazione sull’insussistenza delle cause di proscioglimento non è più un motivo valido per impugnare la sentenza di patteggiamento. L’accordo sulla pena implica la rinuncia a far valere tali censure.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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