Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21626 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 2 Num. 21626 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a TARANTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/01/2024 del TRIBUNALE di TARANTO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG AVV_NOTAIO, si dà atto che il ricorso è stato trattato de plano.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Tribunale di Taranto, con sentenza del 15.01.2024, applicava ai sensi dell 444 cod. proc. pen. a NOME COGNOME, su richiesta dello stesso e con il consens del Pubblico Ministero, concesse le circostanze attenuanti generiche rite equivalenti alla contestata recidiva, ritenuta la continuazione e consider riduzione per il rito, la pena di mesi dieci di reclusione e euro 500,00 di multa imputazioni allo stesso ascritte di cui agli artt. 81, com. 2, 648 e 679 cod. 40, com. 1 lett.c), D.Igs. n.504/1995.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME propone, a mezzo del proprio difensore, ricorso per cassazione deducendo un unico motivo di ricorso con il qu
deduce la violazione di legge, nonché il vizio di motivazione eccependo la illogicità e la contraddittorietà della stessa, in quanto una diversa valutazione degli elementi di prova avrebbe dovuto condurre il giudice ad emettere una sentenza dall’esito differente dal punto di vista sanzionatorio. In particolare, lamenta l’illogico dinieg delle circostanze attenuanti generiche con criterio di prevalenza, alla luce del positivo comportamento processuale dell’imputato.
3. Il ricorso è inammissibile per essere stato proposto con motivo manifestamente infondato. La giurisprudenza di legittimità ha, da sempre, affermato che, nel ricorso per cassazione, avverso sentenza che applichi la pena nella misura patteggiata tra le parti, non è ammissibile proporre motivi concernenti la misura della pena, a meno che si versi in ipotesi di pena illegale. La richiesta di applicazione della pena e l’adesione alla pena proposta dall’altra parte integrano, infatti, un negozio di natura processuale che, una volta perfezionato con la ratifica del giudice che ne ha accertato la correttezza, non è revocabile unilateralmente, sicché la parte che vi ha dato origine, o vi ha aderito e che ha così rinunciato a far valere le proprie difese ed eccezioni, non è legittimata, in sede di ricorso per cassazione, a sostenere tesi concernenti la congruità della pena, in contrasto con l’impostazione dell’accordo al quale le parti processuali sono addivenute (Sez. 3, n. 18735 del 27/03/2001, COGNOME, Rv. 219852; in termini: Sez. 3, n. 10286 del 13/02/2013, Matteliano, Rv. 254980; Sez. 6, n. 38943 del 18/09/2003, P.G. in proc. Conciatori, Rv. 227718). A corollario di tale principio, la stessa giurisprudenza ha precisato che è esclusa la possibilità di ricorrere in sede di legittimità censurando eventuali errori di calcolo ovvero le valutazioni concernenti il bilanciamento e la misura delle diminuzioni della pena per effetto dell’applicazione di circostanze attenuanti. Tanto perché, nel procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti, l’accordo si forma, non sulla pena inizialmente indicata e sulle eventuali operazioni con le quali essa viene determinata, bensì sul risultato finale delle operazioni stesse, purché il risultato finale non si traduca in una pena illegale (Sez. 1, n. 29668 del 17/06/2014, COGNOME, Rv. 263217; Sez. 6, n.44907 del 30/10/2013, COGNOME, Rv. 257151; Sez. 4, n. 1853 del 17/11/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233185). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Al riguardo il diritto vivente ha chiarito che l’illegalità della pena sussiste so quando la sanzione irrogata non sia prevista dall’ordinamento giuridico ovvero quando, per specie e quantità, risulti eccedente il limite legale, ma non quando risulti errato il calcolo attraverso il quale essa è stata determinata, salvo che non sia frutto di errore macroscopico (Sez. Un., n. 6240 del 27/11/2014 dep. 2015, B.,
Rv. 262327; Sez. 6, n. 41606 del 27/06/2018, COGNOME, non mass.; Sez. 1, n. 38712 del 23/01/2013, Villirillo, Rv. 256879). Va, dunque, preso atto che il legislatore, nel coniare la norma di cui all’art. 448, comma 2-bis, cod.proc.pen., introdotto con l’art. 1, comma 50, della legge n. 103 del 2017, che così dispone: «Il pubblico ministero e l’imputato possono proporre ricorso per cassazione contro la sentenza solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza», ha inteso dare veste normativa al consolidato principio giurisprudenziale, dianzi illustrato. A conferma di tale conclusione depone il testo della Relazione governativa di accompagnamento del d.d.l. (A.C. 2798 – XVII Legislatura), nella parte in cui ha individuato la ratio dell’art. 14 dell’originario d.d.I., poi confluito nell’art. 1, co 50, della legge n. 103 del 2017, nella necessità di limitare espressamente «la ricorribilità della sentenza di patteggiamento ai soli casi in cui l’accordo non si sia formato legittimamente o non si sia tradotto fedelmente nella sentenza, ovvero il suo contenuto presenti profili di illegalità per la qualificazione giuridica del fatto, p la pena o per la misura di sicurezza, applicata od omessa», anche al fine di scoraggiare i ricorsi meramente defatigatori e di «accelerare la formazione del giudicato» (Rel. cit., pag. 7).
Va, quindi, ribadito il principio di diritto secondo il quale: “Ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod.proc.pen., introdotto dall’art. 1, comma 50, 2 I. n. 103 del 2017, è inammissibile il ricorso per cassazione che proponga motivi concernenti, non l’illegalità della pena, intesa come sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico ovvero eccedente, per specie e quantità, il limite legale, ma profili commisurativi della stessa, discendenti dalla violazione de parametri di cui all’art. 133 cod.pen. ovvero attinenti al bilanciamento delle circostanze del reato o alla misura delle diminuzioni conseguenti alla loro applicazione” (così Sez.5, n.19757 del 16.04.2019, Rv.276509-01).
Ne viene che, poiché nel caso al vaglio la pena irrogata non presenta profili di illegalità nei termini sopra delineati, il ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile.
4. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità
emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento de somma, che si si ritiene equa di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 22 marzo 2024
Il Consigliere estensore