Ricorso Patteggiamento: La Cassazione Ribadisce i Limiti Tassativi
L’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, noto come patteggiamento, rappresenta una scelta strategica per l’imputato e la pubblica accusa. Tuttavia, una volta raggiunta, questa via processuale presenta limiti ben precisi per quanto riguarda le possibilità di impugnazione. Con la recente ordinanza n. 6647/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito la rigorosa interpretazione delle norme che regolano il ricorso patteggiamento, dichiarandone l’inammissibilità quando proposto per motivi non espressamente consentiti dalla legge.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine da una sentenza del Tribunale di Pavia, con la quale un’imputata, su sua richiesta, otteneva l’applicazione di una pena per il reato di omicidio stradale, previsto dall’art. 589 bis del codice penale, con il riconoscimento delle attenuanti generiche. Nonostante l’accordo raggiunto con la Procura e ratificato dal Giudice, la difesa decideva di presentare ricorso per cassazione avverso tale sentenza.
I Motivi del Ricorso e i limiti al ricorso patteggiamento
La difesa basava il proprio ricorso lamentando un vizio di motivazione da parte del giudice di merito. In particolare, si sosteneva che il giudice avesse omesso di adempiere al suo obbligo di motivare adeguatamente la decisione. Questo motivo, tuttavia, si scontra frontalmente con i limiti imposti dalla normativa vigente in materia di impugnazione delle sentenze di patteggiamento.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte, con una decisione rapida e senza formalità, come consentito dall’art. 610, comma 5-bis del codice di procedura penale, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un’applicazione diretta e stringente di una norma specifica che regola proprio le impugnazioni in questi casi.
Le Motivazioni della Decisione
Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa disposizione, introdotta dalla cosiddetta ‘Riforma Orlando’ (legge n. 103/2017), ha circoscritto in modo drastico i motivi per cui è possibile presentare ricorso patteggiamento. La legge elenca in modo tassativo le ragioni ammissibili, che non includono il generico vizio di motivazione sollevato dalla ricorrente.
I giudici della Cassazione hanno evidenziato che il legislatore ha volutamente limitato la possibilità di impugnare l’accordo tra le parti, al fine di garantire la stabilità e l’efficienza di questo rito speciale. Consentire un’impugnazione per motivi non previsti significherebbe vanificare la natura stessa del patteggiamento, che si basa su un accordo volontario sulla pena.
La declaratoria di inammissibilità ha comportato, come conseguenza automatica, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di quattromila euro in favore della Cassa delle ammende, non ravvisando la Corte alcuna ragione per un esonero, in linea con la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sent. n. 186/2000).
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza conferma un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale penale: la scelta del patteggiamento è una decisione ponderata che comporta una quasi definitiva rinuncia all’impugnazione nel merito. Le parti che accedono a questo rito devono essere consapevoli che la sentenza potrà essere contestata solo per i pochi e specifici motivi di legittimità previsti dalla legge. Ogni tentativo di aggirare questi paletti attraverso un ricorso patteggiamento fondato su altre ragioni è destinato a essere dichiarato inammissibile, con l’ulteriore aggravio di spese e sanzioni pecuniarie.
È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, l’impugnazione è consentita solo per i motivi tassativamente elencati nell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Per quale motivo il ricorso è stato dichiarato inammissibile in questo caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché basato su un presunto vizio di motivazione, un motivo non compreso nell’elenco di quelli consentiti dalla legge per impugnare una sentenza di patteggiamento.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in quattromila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6647 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6647 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/07/2023 del TRIBUNALE di PAVIA
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Rilevato che COGNOME NOME ha proposto ricorso con difensore avverso la sentenza la quale il Tribunale di Pavia ha applicato alla stessa su richiesta una pena per all’art. 589 bis, cod. pen. (in Cisliano il 15/9/2022), riconosciute le generiche;
ritenuto che il ricorso é inammissibile, per causa che può essere dichiarata senz ai sensi dell’art. 610 comma 5-bis cod. proc. pen., aggiunto dall’art. 1, comma 62, della 23 giugno 2017, n. 103, in vigore a decorrere dal 3 agosto 2017;
che, in particolare, sì tratta dì ricorso avverso sentenza applicativa di pena motivi (omesso assolvimento dell’obbligo di motivazione) non deducibili ai sensi del comma 2-bis cod. proc. pen. (inserito dall’art. 1, comma 50, della legge 103/2017 cit che alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna al pagamento del processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammen ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese p e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 17 gennaio 2024